Taccuino Liberale #42

Sul prossimo referendum dell’8 e 9 giugno si è scritto e detto tanto, per una volta, il taccuino diventa modaiolo e segue il trend generale di dire la propria sul tema. Al di là del risultato, delle questioni giuridiche circa l’obbligo o l’opportunità di andare ai seggi, essendo i conti pubblici un grande cruccio si pone l’accento su una questione di cui parlano in pochi in questa occasione, ossia i rimborsi elettorali.

La normativa vigente, la legge 157/1999, intitolata Nuove norme in materia di rimborso delle spese per consultazioni elettorali e referendarie e abrogazione delle disposizioni concernenti la contribuzione volontaria ai movimenti e partiti politici, ha sostituito la precedente normativa sul finanziamento pubblico ai partiti politici che era stata abrogata a seguito di un referendum promosso nel 1993 dai Radicali, quindi introducendo un rimborso in luogo di un finanziamento pubblico che il popolo italiano aveva inteso eliminare (tanto per dare idea di come stia a cuore al legislatore la volontà popolare referendaria). 

La normativa del 1999, all’articolo 1 comma 4, disciplina il sistema dei rimborsi per i referendum. Recita il comma 4: “In caso di richiesta di uno o più referendum, effettuata ai sensi dell’articolo 75 della Costituzione e dichiarata ammissibile dalla Corte costituzionale, è attribuito ai comitati promotori un rimborso pari alla somma risultante dalla moltiplicazione di un euro per ogni firma valida fino alla concorrenza della cifra minima necessaria per la validità della richiesta e fino ad un limite massimo pari complessivamente a euro 2.582.285 annui, a condizione che la consultazione referendaria abbia raggiunto il quorum di validità di partecipazione al voto. Analogo rimborso è previsto, sempre nel limite di lire 5 miliardi di cui al presente comma, per le richieste di referendum effettuate ai sensi dell’articolo 138 della Costituzione”.

Questo rimborso è quindi finalizzato a coprire le spese sostenute nella fase di promozione e raccolta firme ma viene erogato solo se almeno uno dei quesiti raggiunge il quorum (50 per cento + 1 degli aventi diritto al voto).  

Per i promotori, dunque, il meccanismo per accedere ai rimborsi elettorali è semplice e chiaro: più sono i votanti, più c’è speranza che si raggiunga il quorum, primo ostacolo da superare per ottenere un ristoro; e poi più sono i votanti, una volta superata la soglia del quorum, più aumenta il rimborso. Se invece il quorum non viene raggiunto, la cassa pubblica statale rimane chiusa. È del tutto evidente che per i comitati promotori dei referendum ed i partiti che li appoggiano, oltre all’attenzione, l’interesse e la premura perché i cittadini usufruiscano del diritto di esprimersi per le questioni proposte dai referendum, e non si facciano scappare questa ghiotta occasione per far valere la propria volontà popolare, facendosi incantare dalle sirene che li invitano ad andare al mare, vi è l’evidente interesse affinché il referendum raggiunga almeno il quorum, per garantirsi il ristoro economico che altrimenti sarebbe pari a zero. 

Non appare quindi così assurdo il nervosismo che alcuni politici manifestano in questi giorni, quando sentono gli incitamenti di parte politica avversa a disertare i seggi, perché vedono sfumare la possibilità di vedersi assegnare i contributi pubblici previsti, solo che come giustamente e puntualmente rilevato dal direttore di questa testata giornalistica nella trasmissione diMartedì oggi tale atteggiamento è tacciato di fascismo. Ha perfettamente ragione Andrea Mancia quando dice che uno dei modi per esprimere il proprio voto contrario è quello di non andare al seggio, perché ogni elettore dovrebbe rammentare che se vince il no al seggio raggiungendo il quorum, scatta la spesa pubblica che non c’è se non si raggiunge quel 50 per cento + 1.

Troppo comodo e troppo facile evocare certi temi per indurre i cittadini ad andare a esprimere la propria preferenza referendaria, verrebbe dunque da obiettare a chiunque operi tale semplificazione evocativa ad un tempo che non c’è più, mentre molto sofisticato è il nascondimento operato dietro all’interesse della promozione dei referendum, quando a pagare sono sempre i contribuenti italiani, chiamati due volte a fare il loro presunto dovere civico: pagare le tasse per permettere i rimborsi e andare a votare per garantire il rimborso.

Questa volta la tematica finanziaria appare abbastanza importante, dato che i quesiti, come sostenuto da più parti, è una lotta interna, una resa dei conti, fra più anime della sinistra, quella riformista e quella massimalista, che non porterà a nessun aumento dei posti di lavoro, nessuna creazione di ulteriori posti di lavoro, nessun aumento di produttività e quindi di salari, ma che farà fare solo un ulteriore passo indietro al Paese, dove, come recita un vecchio adagio, è più facile divorziare che licenziare. 

A Landini, quando dichiara che il lavoro è dignità e quindi licenziare ingiustamente lede la dignità delle persone, per questo bisogna rendere di fatto impossibile licenziare, rammenterei la lezione di Antonio Marzano alla Scuola di Liberalismo, che sosteneva che la dignità del lavoratore sta non nell’impossibilità che venga licenziato, ma nel sapere che se c’è un problema in azienda dovrebbe avere la libertà di andarsene, senza nemmeno arrivare al licenziamento, certo che il sistema produttivo sia capace di offrirgli migliori opportunità rispetto a quella che ha lasciato. 

Questa è la vera dignità, quella di sentirsi liberi di lavorare nel posto migliore dove si viene apprezzati, non dove un giudice obbliga l’imprenditore a tenersi per forza un lavoratore. 

Che dignità ci può essere nel vedersi imporre in un ambiente dal quale si è stati esclusi con il licenziamento? Che valore si esprime? E perché allora l’imprenditore non può trattenere il dipendente che se ne va, se ritiene che le sue dimissioni siano ingiuste, perché lo danneggiano, magari perché ha investito in formazione, in crescita professionale, oppure perché così va via un detentore di know-how difficilmente soppiantabile? Perché solo il licenziamento deve prevedere la fattispecie “ingiusta” e non anche le dimissioni ‒ soprattutto se repentine e non preannunciate ‒ di figure professionali fondamentali per il successo e l’equilibrio aziendale? 

Quindi domenica, o lunedì, se decidete di andare alle urne, ricordate di quell’euro che con la vostra presenza al seggio, potreste concorrere a far sì che dalle vostre tasche, vada dritto dritto nelle casse dei promotori referendari, che hanno tutto l’interesse che questo passaggio avvenga, a prescindere dall’esito referendario, basta che si raggiunga il quorum. 

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Aggiornato il 09 giugno 2025 alle ore 09:50