La “quarta gamba” ingessata

Habemus papam! No, “habemus” programma e accordo tra le componenti principali del centrodestra. È una buona notizia perché, come direbbe il mitico Antonio Di Pietro nel suo italiano improbabile, “carta canta”. Meglio di mille parole vale ciò che è scritto e firmato dai quasi certi protagonisti del governo di domani. Tutto bene, dunque.

Non proprio, perché la festa riesca è necessario che tutte le ciambelle abbiano il buco. Al momento, la ciambella che manca all’appello è quella della cosiddetta “quarta gamba” della coalizione che raggruppa i conservatori, i liberali e i popolari di Raffaele Fitto e Lorenzo Cesa. Con loro nessun accordo ancora e niente photo opportunity con gli alleati. Un vulnus pericoloso per il centrodestra col vento in poppa? Certamente sì, ma come direbbe un tranquillo Raffaele Fitto convertito alle melodie di Ivano Fossati: “C’è tempo”. C’è tempo, non moltissimo, per negoziare una presenza dignitosa della “quarta gamba” che, a conti fatti, potrebbe rivelarsi il valore aggiunto indispensabile per assicurare la maggioranza parlamentare al centrodestra. Cos’è che ha impedito di chiudere prima l’accordo? Probabilmente le resistenze della Lega e di Fratelli d’Italia che non vorrebbero concedere troppo spazio alla “carica dei moderati”.

Per quanto sia umanamente comprensibile la preoccupazione di Giorgia Meloni e Matteo Salvini di vedersi sottrarre terreno e spazi di manovra dall’ingresso a pieno titolo del “quarto incomodo” nella coalizione, è necessario che dei leader che si preparano a guidare il Paese mostrino lungimiranza e coraggio e non si attacchino a micragnosi calcoli di bottega. Qual è all’osso il pomo della discordia? Si tratta dell’attribuzione delle candidature nei seggi dell’uninominale. Fitto e Cesa si sono presentati al tavolo negoziale con numeri e proiezioni molto allettanti. Non è solo il Sud l’area nella quale l’apporto della “quarta gamba” risulterebbe decisiva per la vittoria nei collegi. Anche al Nord e al Centro la loro presenza potrebbe rivelarsi decisiva. Già, perché la tessitura della tela, intrapresa da Raffaele Fitto due anni orsono al riparo da sguardi indiscreti a dal clamore delle luci della ribalta, ha dato frutti. Il recente innesto delle frange di delusi provenienti dall’esperienza fallimentare del Nuovo centrodestra di Angelino Alfano ha contribuito a completare l’opera.

Oggi la “Quarta gamba” è in grado di raccogliere voti in tutte o quasi le regioni d’Italia: dal Friuli-Venezia Giulia alla Sicilia. Su questa premessa il duo Fitto-Cesa chiede agli alleati che gli venga riconosciuta un’adeguata rappresentanza parlamentare.

Se Salvini e Meloni dubitano sull’affidabilità della “quarta gamba” hanno il diritto di chiedere agli interlocutori tutte le garanzie necessarie per evitare ciò che è accaduto nella legislatura appena terminata, dove le migrazioni dei parlamentari da un campo all’altro degli schieramenti hanno assunto dimensioni bibliche. Tuttavia, essi non possono legittimamente chiedere al nuovo alleato di farsi portatore di voti perché loro possano crescere laddove al momento non esistono o sono scarsamente presenti senza dare in cambio lo spazio politico al quale i “donatori” hanno diritto. Qualcuno potrebbe improvvidamente pensare che della “quarta gamba” si possa fare a meno. L’esperienza insegna che i tavoli sbilenchi hanno vita breve. E poi: attenzione ai contraccolpi. Si sono chiesti Meloni e Salvini cosa accadrebbe se Fitto e compagni se ne andassero per i fatti loro? Si provocherebbe una reazione a catena pericolosissima. A cominciare dalle elezioni regionali. Senza la “quarta gamba” in coalizione scatterebbe in automatico la candidatura di Maurizio Lupi alla presidenza della Regione Lombardia. Allora sarebbero guai seri per Attilio Fontana.

Lo stesso accadrebbe per le Regionali nel Lazio. Già è difficile trovare la quadra con un Sergio Pirozzi che si sente l’unto del Signore, se poi spunta il candidato della “quarta gamba” Nicola Zingaretti può andare a festeggiare già da subito la sua rielezione sugli scudi. A ruota ci sono le elezioni regionali in Molise e in Friuli-Venezia Giulia. Due realtà nelle quali i conservatori di Fitto hanno piantato solide tende. Che si fa? Si apparecchia la tavola alla sinistra? Ricordatevi di Alamo! Fuori di metafora: Meloni e Salvini, ricordatevi della Sicilia! Oggi entrambi fanno un bel dire di quanto siano stati bravi e capaci nell’individuare in Nello Musumeci il candidato vincente. Ma facciamo rispettosamente osservare che la lista unitaria di “Fratelli d’Italia” e “Noi con Salvini” ha portato alla causa comune solo il 5,6 per cento dei consensi, a fronte di un 14,10 per cento messo insieme dalle liste facenti capo ai centristi. Senza quei voti oggi Musumeci sarebbe l’ennesima occasione mancata dal centrodestra.

Cari ragazzi, accettate un consiglio paterno: piedi ben saldi a terra e penne abbassate. Comunque, per rimettere il negoziato sui binari giusti è come canta Ivano Fossati: “C’è un tempo negato… E quella volta che noi… era meglio parlarci”.

Aggiornato il 20 gennaio 2018 alle ore 08:03