Taccuino liberale #62

Un editoriale di Veronica De Romanis, sulle colonne de La Stampa di ieri, nel suo intervento “Perché le flat tax non fanno crescere”, per esplicitare la propria tesi, parte offrendo al lettore i dati sulla occupazione/disoccupazione (in particolar modo femminile). Proviamo a fare qualche  riflessione di carattere metodologico, che vale la pena appuntare sul taccuino odierno.

Molti eminenti studiosi, economisti, intellettuali (taluni si definiscono anche liberali) che disquisiscono, studiano e analizzano i fenomeni economici non hanno alcuna esperienza diretta dei fenomeni e conoscenza del perché di certe situazioni. Si leggono tomi sull’economia aziendale redatti da persone che non hanno mai messo piede in un’azienda, che non ne hanno mai avuta una, né l’hanno mai gestita, ma discettano su cosa fanno gli imprenditori, su come si comportano, sulla base di alcuni dati assoluti, senza mai porsi la domanda del perché di quelle scelte aziendali. Quindi, restituiscono all’opinione pubblica una visione dei fenomeni più sulla base dei propri bias o mancanza di conoscenza empirica della realtà, che sulla capacità di comprensione delle azioni umane. La teoria, quando è disgiunta dallo studio della realtà, dall’ascolto delle storie, dalla raccolta dati empirica ma spontanea, non artata come a volte certe indagini sembrano condurre, produce una rappresentazione fenomenica rispondente a verità ideologiche pre confezionate più per confermare i propri bias, che capire, rappresentare e trovare soluzioni (ammesso che ce ne siano). Deirdre McCloskey ha ampiamente ammonito quegli econometristi che ritengono scientifiche le proprie misurazioni, perché fatte sulla base di scelte compiute sulla base delle proprie preferenze.

Facciamo qualche esempio. Quando si parte da una raccolta dati, ipotizziamo il numero occupati, e si rileva una una fascia di età che va dai 15 ai 64 anni, in cui, attualmente, in Italia, a sistema legislativo vigente, vi sono soggetti in pieno obbligo scolastico fino a 19 anni, e ancora una mole di pensionati e pre pensionati, la percentuale di lavoratori è diversa se si considerassero solo i giovani fuori obbligo scolastico (quindi si dovrebbe partire dai 19 anni e non 15) e fuori dalle fasce di occupabilità (i militari, ad esempio, vanno in pensione a 60 anni. Quindi decine di migliaia di persone in Italia, seppur giovani, sono già in pensione). Se poi si considera che nella fascia 20-29 anni ci sono gli studenti universitari, forse sarebbe più opportuno andare a studiare fasce di età più omogenee, per evitare di fare la famosa media del pollo.

Già tutto quello che viene detto sulla base di distorsioni come quelle sopra rappresentate circa la rilevazione dei tassi di occupazione e fasce di età, forse porterebbe a conclusioni, e dunque soluzioni diverse (ma voi avete mai letto di critici di provvedimenti che poi facciano contro proposte, e magari anche di senso compiuto?). Guardare dunque con occhio critico, con scetticismo metodologico quello che ci viene proposto, ci aiuta a comprendere davvero. A non essere schiavi dei bias altrui o a saper riconoscere la eventuale manipolazione dei dati posti al servizio solo delle ideologie e delle logiche politiche. Conoscere per deliberare, ci ha insegnato Luigi Einaudi. Conoscere bene, approfonditamente, liberalmente, per deliberare, potrebbe essere il motto di oggi e di domani.

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Aggiornato il 31 ottobre 2025 alle ore 12:39