
Una serie di notizie riguardanti il cinema ci offrono l’occasione per riflettere, ancora una volta sulla spesa pubblica, che sempre più spesso si identifica come spreco, piuttosto che corretto ed adeguato impiego dei soldi dei contribuenti italiani.
Si era iniziato qualche settimana fa, leggendo i dati sui contributi a film finanziati con fondi pubblici per milioni e milioni di euro, che avevano incassato a volte anche solo poche migliaia di euro. Era sin troppo fresca la memoria del successo del film della Cortellesi che non aveva avuto accesso ai fondi, per non far indignare più d’uno.
Poi è avvenuto il fattaccio a villa Pamphili, il duplice omicidio da parte di un cittadino americano, che si è scoperto essere stato assegnatario da parte del ministero della cultura, quando Franceschini (che aveva introdotto la riforma nel 2016) era a capo del dicastero, di un contributo di 800mila euro circa per la produzione di un film d’essai proposto da una società maltese. Infine, ieri la notizia che il direttore generale cinema e audiovisivo, si è dimesso, anche se portano la sua firma i decreti pubblicati sul sito del ministero contenenti le liste dei contributi assegnati nell’anno 2024 e 2025, e le nuove norme, più stringenti per l’assegnazione dei contributi.
A partire dal 23 giugno, per ottenere i finanziamenti italiani le produzioni straniere dovranno soggiacere agli obblighi di tracciabilità dei flussi finanziari, di presentare una copia completa dell’opera realizzata come condizione per il riconoscimento definitivo del beneficio, di indicare chiaramente in fattura il titolo dell’opera cui si riferiscono i costi (se superiori a 1.000 euro), e dovranno rispettare maggiori vincoli nella documentazione sull’assunzione del personale e sulla certificazione delle prestazioni di servizio rese da terzi. Insomma, tutte regole, che da oltre un decennio, sussistono per qualsiasi tipo di fornitore della Pubblica amministrazione, anche se vuole vendere solo matite e carta per fotocopie sul mercato elettronico della Pa. Come è stato possibile che per quasi un decennio il settore cinematografico del ministero abbia potuto sostenere un sistema di lauto pagamento di contributi, dunque di soldi dei contribuenti, senza richiedere e comprovare requisiti che chiederebbe anche il più piccolo dei comuni ad un beneficiario di fondi pubblici, siano essi sussidi o appalti pubblici?
Possibile che la Corte dei conti non abbia mai avuto nulla da dire sul sistema di erogazione dei contributi e sulla qualità della spesa, nonostante il fondo in questione sia molto cospicuo?
Il sistema dell’incentivazione pubblica al sistema cinematografico è una enorme bolla, una spesa sostanzialmente inutile, che potrebbe essere serenamente ridotta al lumicino per pochi, ragionati progetti, ma che forse varrebbe la pena finanziare più come eventuale garanzia di Stato che, come finanziamento diretto, fosse anche solo come fiscal credit.
L’attuale sistema nasce nel 2016, “grazie” alla riforma del settore voluta dall’allora ministro Dario Franceschini, con un fondo di circa 400 milioni di euro, oggi arrivato a quasi 700 milioni di euro. Per dirla in altri termini quasi un miliardo di euro. Esistono diversi tipi di contributi, sia per opere italiane che straniere. Per i film italiani era previsto il deposito dell’opera per ottenere il contributo e la dimostrazione che fosse stato distribuito nelle sale. Insomma, dopo la realizzazione del film, bastava organizzare qualche evento di presentazione, comprare biglietti per parenti, amici e semmai pure qualche nemico, diffonderlo in qualche altra sala, anche se poi non lo andava a vedere nessuno, e il contributo arrivava, anche se l’opera non forniva, invece, alcun contributo artistico alla cultura cinematografica. Per le opere straniere, incentivate con i contributi pubblici con la finalità di promuovere le produzioni in Italia e dunque far lavorare imprese e maestranze locali, non c’era bisogno nemmeno di presentare l’opera completa, tanto meno distribuita.
Di qui la possibilità, anzi il sacrosanto diritto, di indignarsi per la generosità pubblica, sia come cittadini che come contribuenti.
Dinanzi ad un bilancio pubblico colabrodo, ad una spesa sempre in crescita che sembra non trovare possibilità di argine alcuno, dinanzi al fatto che alla fine basta una società maltese che proponga un progetto per un film, e si aprono i cordoni della borsa, dovremmo essere tutti d’accordo che il livello di debito pubblico e di tassazione suggeriscono un intervento urgente, draconiano, ed irreversibile di abolizione o quanto meno una drastica riduzione del sostegno pubblico ad attività che al momento, non possiamo e non dobbiamo permetterci di pagare con la fiscalità generale. Siamo in tempo di formazione del bilancio per il triennio 2026-2029, che approderà in parlamento in autunno, le amministrazioni centrali stanno già lavorando alle proposte, il ministro intervenga su questo ora. Tagli quel fondo e lo porti a zero, o al massimo a 7 milioni. Le anime belle che compongono il magico mondo di attori, registi e produttori se ne faranno una ragione, del resto i vari Fellini, Visconti, De Sica, ma anche i Vanzina, o produttori come Ponti non hanno avuto bisogno di contributi per realizzare capolavori che hanno fatto la storia del cinema e rimangono fonte di ispirazione per altrettanti registi che hanno creato poi capolavori cinematografici riconoscendo il tributo a tali geni italici, e di recente, la Cortellesi, e prima di lei Zalone, hanno dimostrato che ottime idee hanno la forza e la capacità di andare lontano con le proprie gambe.
Da questo punto di vista, il ministro ha il pieno appoggio dei contribuenti elettori, stufi di vedere sprecare le proprie tasse.
(*) Leggi il Taccuino liberale #1, #2, #3, #4, #5, #6, #7, #8, #9, #10, #11, #12, #13, #14, #15, #16, #17, #18, #19, #20, #21, #22, #23, #24, #25, #26, #27, #28, #29, #30, #31, #32, #33, #34, #35, #36, #37, #38, #39, #40, #41, #42, #43, #44, #45
Aggiornato il 04 luglio 2025 alle ore 15:34