Il taccuino di questa settimana prende forma dopo una seduta di chiropratica. Professione non regolata, come molte altre in Italia, Paese in cui ogni categoria ambisce ad avere il proprio ordine, il proprio orticello da coltivare e mantenere con cura.
Ce ne sono tante di professioni che non hanno un ordine, una regolamentazione ed ambirebbero ad averne una, mentre le esistenti organizzazioni di categoria professionale ci darebbero ben ampia dimostrazione che gli ordini in Italia servono solo a proteggere chi vi appartiene e a costruire una barriera protettiva da chi ne è fuori.
Avete mai provato a segnalare un professionista iscritto ad un ordine per qualche violazione delle regole che l’ordine a cui appartiene? Conoscete qualche professionista sanzionato dal proprio ordine?
Avete mai visto segnalare un collega scorretto da parte di un collega che quella scorrettezza l’ha subita o, peggio, quando l’ha subita il suo cliente?
Eh no, perché vige il principio della colleganza, che altro non è che una elegante formula per affermare che cane non mangia cane, quindi, al netto delle debite eccezioni, tra collega e cliente si sacrifica quest’ultimo perché il collega è sacro.
È una vecchia battaglia liberale, quella della abolizione degli ordini, assieme all’abolizione del valore legale dei titoli di studio, battaglia tuttavia sempre attuale, e forse, nell’era del digitale e dell’Ai, varrebbe la pena che venisse ripresa, perché sperare che la serietà e la competenza derivino dall’iscrizione ad un ordine è come pretendere che il vino sia buono perché è in una bottiglia con una bella etichetta.
Davvero non si comprende quindi perché talune categorie di professionisti invochino la formazione di ordini professionali quando nessuno può garantire la qualità dell’operato degli iscritti per il solo fatto che ci sia un ordine professionale a tutela da persone poco preparate, competenti ed eticamente inappuntabili.
Al di là dei nomi, delle etichette e di organizzazioni auto conservative sarà sempre il lavoro della persona, il suo modo di rapportarsi con i clienti che farà la differenza.
Il migliore sarà e rimarrà il migliore sia che sia iscritto sia che non lo sia.
Non è l’appartenenza formale che si trasforma in sostanza a fare la differenza. Né lo Stato, o un soggetto da questo delegato potrà garantire per le sue capacità lavorative.
Chiedo dunque al mio chiropratico, mentre penso che ha avuto tra le sue mani campioni del calibro di Marcell Jacobs, cosa cambierebbe se fosse iscritto ad un ordine professionale. Davvero un campione sarebbe arrivato a lui tramite l’ordine? O potrebbe essere tutelato? E dato che è francese, sarebbe sicuro di poter lavorare anche in Italia liberamente come ha potuto fare negli ultimi 20 anni?
È il mercato che fa la differenza e che offre la miglior tutela. Se sei bravo, hai la fila d’attesa, tutti ti vogliono, se non lo sei, nessuno ti vuole e sei costretto ad uscire dal mercato. Ed hai anche attenzione e cura del cliente che la merita dato che paga.
Auspicare che un ordine sopperisca alle debolezze umane è davvero velleitario e poi come la metteremo quando l’Ai sostituirà in tutto o in parte alcuni tipi di professionisti? Costringeremo anche l’Ai ad iscriversi? A fare eventualmente l’esame di abilitazione o la formazione annuale?
Non è così che va il mondo e a breve anche gli ordini italiani se ne accorgeranno.
(*) Leggi il Taccuino liberale #1, #2, #3, #4, #5, #6, #7, #8, #9, #10, #11, #12, #13, #14, #15, #16
Aggiornato il 29 novembre 2024 alle ore 11:26