Gli “stretti” hanno sempre rappresentato un punto di forza per gli Stati che potevano esercitare la propria sovranità. Costantinopoli è stata la più grossa perdita del “mondo cristiano”. Dopo il maggio del 1453, quando l’Islam conquistò la capitale dell’ortodossia cristiana, decapitando la seconda testa del Cristianesimo, gli equilibri geopolitici di quella vasta regione sono stati inesorabilmente cambiati. Non bisogna indugiare su questo aspetto che ha sollecitato la zarina Caterina II a elaborare il “progetto greco” – nel 1780 ma mai sviluppato – per ricondurre Costantinopoli sotto il controllo del Cristianesimo. E cacciare i musulmani dall’Europa. Lo Stretto del Bosforo, chiamato “Istanbul Bogazi” – “gola di Istanbul” – è stato il punto di forza prima dell’Impero ottomano, poi della Repubblica di Turchia.
La guerra tra Russia e Ucraina ha così messo la Turchia al centro di un sistema di interessi, di poteri e “servitù”, facendole assumere quella configurazione di “gola diplomatica” tramite la quale è impossibile non chiedere di passare. Dal 24 febbraio 2022, giorno dell’invasione russa, Ankara ha assunto il ruolo di primo attore sul palcoscenico internazionale; essendo il controllore dello stretto del Bosforo e dei Dardanelli riesce, senza fatica, a contenere le ambizioni russe, ma anche a regolare gli “approcci” della Nato, di cui la Turchia in modo problematico è parte. La convenzione di Montreux, firmata nel 1936 da Turchia, Grecia, Romania, Francia, Regno Unito, poi nel 1938 dall’Italia stabilisce, semplicisticamente, che solo la Turchia può determinare chi può passare per gli stretti e, di conseguenza, chi può accedere o uscire dal Mar Nero, differenziando la decisione se in periodo di pace o di guerra. Questo bacino, prima “dell’operazione speciale” di Vladimir Putin, era generalmente tranquillo. Ma le sue suggestive – nonché inquietanti – sponde che lo vedono confinare con l’area mediterranea, balcanica e slava mostrano “acque agitate”. Il Mar Nero è diventato un punto focale della guerra; gli ucraini ottengono in queste acque i loro migliori successi contro la flotta di Mosca, con il supporto di missili e droni, mentre i russi bombardano le infrastrutture portuali ucraine.
Però tra Mosca ed Ankara scorre un preoccupante flusso di compromessi e ambiguità; una specie di gelida connivenza che mette in allarme la diplomazia occidentale. Gli stretti erano il passaggio per oltre il ventiquattro per cento del commercio mondiale di prodotti cerealicoli; l’esportazione di orzo, grano, mais e olio di girasole, che sono i prodotti di punta dell’agricoltura ucraina e russa, è stata fortemente contratta, con le comprensibili conseguenze. Così le sanzioni occidentali hanno frenato il mercato dell’esportazione di Mosca, così come il blocco navale del Mar Nero esercitato dalla Russia ha ostacolato le esportazioni dei cereali di Kiev. Dai porti ucraini sul Mar Nero di Odessa, Chornomorsk, Pivdenny, grazie a un corridoio sicuro organizzato dagli alleati di Kiev, vengono spediti, attraverso la “gola di Istanbul”, circa quindici milioni di tonnellate di prodotti agricoli. Quantità, queste, non sufficienti per fare vivere minimamente i produttori agricoli ucraini. Mosca si oppone all’utilizzo del “corridoio”. E comunque il transito non è particolarmente sicuro, a causa delle numerose mine navali semi galleggianti che variano il loro tragitto in funzione delle correnti e dei venti. La Marina turca ha stabilito un calo del traffico di navi nel Bosforo, dal 2022 al 2023, di oltre dodicimila cargo, passando da quasi cinquantamila unità navali prima dell’invasione russa a circa trentaquattromila. Ma la questione degli “stretti” è oggi al centro dell’attenzione globale.
Un altro corridoio marittimo che sta impegnando l’Occidente è quello di Ban el-Mandeb da cui si arriva al canale di Suez per raggiungere il Mediterraneo e il mercato europeo. È una arteria tra le più trafficate del mondo: il 40 per cento del commercio marittimo passa attraverso lo stretto. Questa area è tra le più militarizzate del Pianeta; soldati statunitensi, francesi, italiani, spagnoli, giapponesi, sono presenti con basi militari a Gibuti. Dal 2017 anche la Cina ha una base navale nel porto di Gibuti, che può ospitare oltre diecimila militari. La questione dello stretto di Bad el-Mandeb è caratterizzata dagli attacchi, con droni e missili, alle navi in transito nell’arteria da parte delle milizie Houthi, sciite, nutrite da Teheran. O meglio dagli Ayatollah. Le milizie sono al momento uno degli aspetti della “guerra globalizzata”: equipaggiati come eserciti nazionali, non rappresentano alcuno Stato, quindi non si può addebitare ufficialmente agli Ayatollah la colpa di tali azioni terroristiche. Queste milizie sono a grande prevalenza sciite, agiscono anche sul “cauto fronte” libanese, in Iraq, in Siria, oltre quelle anche sunnite che supportano Hamas. Attualmente, il lancio dei missili da parte degli Houthi sta avendo una flessione. Gli Ayatollah stanno razionalizzando le forniture, probabilmente per l’enorme impegno profuso su molteplici fronti, considerando anche il rapporto commerciale di armi che ha con Mosca.
Comunque, se le basi Houthi in Yemen dovessero continuare a lanciare ordigni contro le navi che transitano, non è escluso che si possa verificare un intervento anglo-statunitense: una guerra di terra che la disperata popolazione yemenita attende con speranza, e non solo quella sunnita filo-saudita. In questo modo, potrebbero essere annichiliti gli Houthi, responsabili del dramma umanitario e delle sofferenze che gli yemeniti subiscono dal 2014 a causa della guerra civile. Dal Bosforo a Bad el-Mandeb è una questione di “stretti”. Considerando che lo Yemen, per la sua natura, potrebbe fare concorrenza all’idea del Paradiso.
Aggiornato il 12 febbraio 2024 alle ore 09:47