Enrico Letta grande elettore di Giorgia Meloni

In una stagione vocata per gli antipasti di mare, Enrico Letta cerca di raccogliere tutte le cozze, le vongole, i polpi per fare un fritto misto della sinistra; al grido: “Fermiamo le destre, impediamo a Giorgia Meloni di entrare in un governo”. A parte il fatto che, con questo caldo, i meloni sono più rinfrescanti dei fritti, la cosa ci ricorda come Achille Occhetto sponsorizzò Silvio Berlusconi. Tangentopoli, manovra dei settori di sinistra di certa magistratura la quale, peraltro, sfruttò carenze morali innegabili nel sistema politico, aveva fatto fuori il pentapartito democristiano socialista socialdemocratico repubblicano liberale, e risparmiato, guarda il caso, quegli ambienti di sinistra coinvolti nel fenomeno. Achille Occhetto, crollata la cortina di ferro, aveva mascherato il Partito comunista italiano nel Partito democratico di sinistra, sotto le fronde d’una quercia cresciuta d’improvviso, con fronde cattocomuniste e radical chic alla Eugenio Scalfari: “La gioiosa macchina da guerra”.

A destra ed al centro gli si erano parati contro Silvio Berlusconi e Mariotto Segni, con due improvvisate. Nelle elezioni capitoline, a Roma, in contrapposizione a Franceso Rutelli, si presentò Gianfranco Fini, a capo del Movimento sociale italiano; nome, non ancora mutato, del partito sorto tra neofascisti, reduci di Salò, il 26 dicembre del 1946. Mentre Mariotto Segni, ostentandosi schifiltoso, quando chiamato da Gianfranco Fini manco rispondeva al telefono. Silvio Berlusconi dichiarò che, se avesse risieduto a Roma, avrebbe votato per lui. Achille Occhetto ne profittò per definirlo il “Cavaliere nero”, e impostò tutta la campagna elettorale contro di lui, lasciando stare lo scialbo Mariotto Segni. Gli italiani stettero al gioco. Rimanevano, in stragrande maggioranza, anticomunisti, e per Silvio Berlusconi fu il trionfo.

Adesso Enrico Letta, molto meno intelligente di suo zio Gianni, fa lo stesso, a vantaggio di Giorgia Meloni, e un certo numero di voti riuscirà a portarglielo. Questo nel quadro, però, oggi, di una crescente disaffezione dell’elettorato per le urne. È un fenomeno globale, non solo italiano. Anche qui Giorgia Meloni, peraltro, avrebbe una carta da giocare: ricordarsi della ragazza manifestante per un esercito dell’Europa nazione. Se, in tempi di guerra, oltre alla riconferma dell’atlantismo della destra italiana, riprendesse quella battaglia, per spostare l’asse delle politiche dell’Unione europea dalla mera economia alla sicurezza e anche, perché no, all’autonomia della difesa dell’Unione, restando fedele alle alleanze, forse convincerebbe molti elettori, i quali sentono le scelte essenziali per la loro vita estranee alle politiche nazionali, a tornare alle urne. A queste elezioni sconfiggere la sinistra senza battere l’astensione alle urne priva della vera forza, poi, per governare davvero.

Aggiornato il 30 luglio 2022 alle ore 11:53