Oggi qualche giornale scrive: “Salvini vuole sfilare la Libia alla Francia”.
Se davvero fosse così, se la strategia del ministro dell’Interno avesse questo obiettivo non ci resterebbe che applaudire. Bravo Salvini! È da qui che si comincia per risolvere anche il problema dei migranti. Lo abbiamo scritto per primi in tempi non sospetti e i fatti ci hanno dato drammaticamente ragione. D’altro canto cos’è stata, nel 2011, l’iniziativa bellica di Nicolas Sarkozy contro Gheddafi se non un atto di guerra camuffato contro l’Italia? I francesi ai diritti umani altrui non hanno mai prestato particolare cura. In passato se ne sono serviti per coprire le loro mire imperialistiche, in particolare in Africa. La Libia faceva gola agli inquilini dell’Eliseo per le sue ricchezze petrolifere e per le grandi potenzialità di attrazione d’investimenti in molti settori produttivi. Che fosse l’Italia a dirigere la musica a Tripoli non sarebbe stato tollerato a lungo dagli avidi “mangiarane”.
Per sette lunghi anni la ruota della fortuna è girata nel loro verso anche grazie al lavoro prezioso dei topolini italiani del centrosinistra che mostravano di provare un insolito piacere a fare i fenomeni da baraccone. Ma niente è per sempre e può capitare che, al colmo dell’esasperazione, arrivi qualcuno a prendere il bastone del comando che decide di mandare in pezzi la ruota. Per un po’ abbiamo sperato che quel qualcuno si chiamasse Silvio Berlusconi ma le condizioni politico-giudiziarie create ad arte dal circo Barnum degli amici del giaguaro non lo ha permesso. La sinistra multiculturalista, schiava dei poteri forti stranieri, si è data da fare per costruire la gabbia entro la quale rinchiudere il leader di Forza Italia trascurando che, nel frattempo, stesse crescendo un personaggio, tale Matteo Salvini, ancora più tosto e determinato del nemico di sempre. I compagni non hanno capito quanto il leghista 2.0 fosse capace di conquistare la gente comune. Anche al di sotto della Linea Gotica. Pensavano che fosse un arruffapopolo qualsiasi, simile al Matteo di casa loro, venuto da Rignano sull’Arno. Invece, stava sorgendo un politico di prima grandezza destinato a polverizzarli. Nelle urne, s’intende.
Ieri Salvini era in Libia a trattare accordi con i capibastone locali, dopo aver acceso il fuoco sotto la pentola maleodorante dell’Unione europea. I suoi oppositori, ogni giorno più patetici, hanno fatto a gara a parlare di fallimento della missione mettendo l’accento sul no delle autorità libiche ad ospitare hotspot sul proprio suolo. Ma hanno finto di non udire la frase chiave pronunciata dal vicepremier libico Ahmed Maiteeq nella conferenza stampa tenuta al termine del meeting: “L'Italia è il nostro primo partner, nell'economia, nel settore energetico ed in altre materie e vogliamo ulteriormente espandere la nostra cooperazione”. Alleluia!
Dopo sette anni di sonno della dignità nazionale si ricomincia a ragionare. L’Italia deve tornare ad essere l’interlocutore privilegiato della “quarta sponda”. Lo vogliono i libici, lo dice la Storia, lo reclama il buon senso. Sarà per questo che Emmanuel Macron in questi giorni sputa fiamme dalle narici e veleno dalla bocca contro les italiens. La sua è la classica sindrome da polpetta soffiata dal piatto. Pensava, il piccolo Napoleone, di avere gioco facile con Roma, come ai tempi di Letta, Renzi e Gentiloni. Si dovrà ricredere visto che anche in Italia si producono ossi duri. E quanto siano ostici se ne accorgerà presto. Magari già dal prossimo giovedì quando, in quel di Bruxelles, il diafano premier Giuseppe Conte tornerà a snocciolargli i dieci punti del programma messo a punto a Roma per risolvere la crisi dell’immigrazione dal Nord Africa. Si consoli pure, il piccolo Napoleone, col nuovo amico spagnolo. Il neo-premier socialista di Spagna, Pedro Sanchez, è arrivato al potere sfruttando la collaudata via giudiziaria per accoltellare alla schiena il predecessore Mariano Rajoy. Il parvenu dell’Eliseo pensa di fare asse con Madrid per costringere l’Italia sulla difensiva sotto la minaccia di imporre da Bruxelles la costruzione sulla nostra penisola di campi profughi desinati a ospitare la disperazione del mondo. Salvini gli risponde facendo sapere che intende ritagliare un’area d’influenza italiana nel Sahel, proprio dove i francesi storicamente hanno fatto i loro comodi.
Ora che il bandolo della matassa è stato ritrovato il titolare del Viminale non se lo lasci scappare di mano. Il punto nodale è riaccompagnare fuori della porta di casa libica i francesi che vi si sono infilati con l’inganno. Gli astri, al momento, gli sono benigni. La maggioranza degli italiani è con lui, lo dicono i sondaggi. A Berlino c’è Angela Merkel che non è mai stata tanto debole come adesso. Un’Europa che le scoppia tra le mani la cancelliera non se la può permettere. Per cui fare la voce grossa con Palazzo Chigi non è una priorità della sua agenda politica. Alla Casa Bianca non c’è più Obama ma Trump. “The Donald” ha un interesse diretto ad aiutare l’alleato italiano a rimettere in ordine gli equilibri geo-strategici nel Mediterraneo centrale. Non fosse altro per mandare un segnale preciso ai padroni del vapore europeo che vorrebbero fargli la guerra commerciale. E al Cremlino c’è Vladimir Putin che se dovesse scegliere chi buttare giù dalla torre tra Macron e Salvini non avrebbe dubbi. Avendo compreso il quadro d’insieme, non resta che agire. Per illustrare il momento particolare prendiamo a prestito uno dei claim più gettonati tra i compagni multiculturalisti, sperando che non ci chiedano i diritti. “Se non ora, quando?”.
Aggiornato il 27 giugno 2018 alle ore 12:51