Taccuino Liberale #57

Mentre la situazione internazionale coglie l’attenzione di gran parte della politica, sia di governo che di opposizione, dei media e dell’opinione pubblica, l’autunno porta l’inizio della preparazione del bilancio dello Stato, che, complici le elezioni regionali che a breve si svolgeranno in diverse regioni italiane, non sta ricevendo la giusta attenzione che meriterebbe.

È probabilmente la penultima manovra che potrà mettere in campo questo governo prima delle prossime elezioni politiche e della “sbornia finanziaria” determinata dal Pnrr. Se quindi l’appetito sale, una serie di motivi fondamentali indurrebbero a suggerire di adottare estrema prudenza. L’agenzia di rating Fitch ha promosso l’Italia, facendo salire il rating a BBB+per maggiore fiducia su scelte fiscali e di conseguenza ha rialzato anche il rating di Cdp, Fs, Amco, Sace, Fnm, nonché di Intesa Sanpaolo e di Unicredit, dopo upgrade dell'Italia.

La prudenza di Giorgetti ha pagato e sarebbe fondamentale continuare così. Un Paese sostenuto dalla fiducia internazionale dei mercati dà segno di robustezza e capacità di crescita, ma da noi, l’ottica miope e la continua tenzone elettorale ora locale ora nazionale, spinge sempre perché i cordoni della borsa non vengano mai chiusi troppo per ridurre la richiesta dei partiti. Parrebbe che il ministro del Mef abbia imposto di non parlare di “tesoretto” da spartire, dovuto da maggiori entrate e qualche risparmio sulla spesa pubblica fatto qua e là, ma l’appetito c’è e per il momento rimane sommerso nelle aspettative politiche che al momento propizio sono pronte ad emendare nottetempo la legge di bilancio per soddisfare elettorati e territori di riferimento.

E così si inizia con ipotesi buone: riduzione delle tasse per il ceto medio, a cui l’ultima riforma delle aliquote fiscali non ha portato grande giovamento, riducendo le aliquote a 3 ha introdotto un sistema in cui si passa dal 23 per cento al 35 per cento, e poi al 43 per cento, in un interno reddituale annuo di un paio di decine di migliaia di euro l’anno. In buone parole gran parte del ceto medio impiegatizio e manageriale che supera con facilità i 28.000 di reddito lordo si è ritrovato ad avere un incremento di tassazione che forse, al momento del rinnovo elettorale potrebbe sfogare tutta la sua frustrazione nella cabina elettorale per l’aumento delle tasse, soprattutto quando a fronte di ciò, per medesimi importi di reddito, il mondo delle piccole partite iva può godere di un regime fiscale più vantaggioso.

Tuttavia, gli esercizi di fantasia non si fermano qua e subito si passa, purtroppo, ai tentativi di coccolare l’ormai sterminata prateria degli aspiranti pensionati che nel giro di 24 mesi potrebbero raggiungere l’agognata meta del riposo dal lavoro, proponendo la solita storia ritrita che certe categorie non possono lavorare all’infinito e che quindi anche 3 mesi anticipati possono fare qualche differenza. Tanto quelli che rimangono a lavorare sono sempre meno rispetto a quelli che non lavorano più e quindi sono quasi una minoranza elettorale del tutto (quasi) ininfluente. Non dimentichiamo che circa il 30 per cento dei contribuenti versa circa il 65 per cento dell’Irpef.

A ciò andranno aggiunti i costi (e le spese) necessarie post turnata elettorale regionale, e non è un caso che i dati sui sistemi regionali sanitari e i servizi erogati, qualcuno abbia deciso di non diffonderli prima delle elezioni regionali.

Così il popolo un po’ bue e un po’ pecora, invece di manifestare per questo grave gap di democrazia (la mancanza di dati non consente di elaborare un voto consapevole) si dirigerà in massa alle urne, e poi sulla base dei voti, la politica deciderà quale elettorato premiare o meno. Una volta personaggi decisamente discussi e discutibili offrivano una scarpa prima delle elezioni e consegnavano la seconda dopo le lezioni, oggi siamo al massimo alla diffusione del profumo del pane senza nemmeno sapere se dentro al locale con la scritta “panetteria” ci sia davvero il pane in preparazione o se sia un banale diffusore di odori, magari made in China. Oggi ordiscono manifestazioni per questioni lontane, o per questioni per le quali il peso di influenza del popolo italiano è del tutto irrilevante, per distrarli dai veri problemi del paese che con il loro voto, potrebbero indurre la politica a trovare soluzioni nuove, a fare scelte diverse da quelle predilette dalla politica, che generalmente propende per l’autoconservazione. 

E così un liberale, che ha ben chiaro che i soldi pubblici non esistono, si preoccupa, pensa alle aziende presenti in Italia nonostante la pressione fiscale di oltre il 40 per cento, la miriade di incombenze burocratiche, e i tanti lacci e lacciuoli imposti dallo Stato per il tramite delle sue tante espressioni e ramificazioni centrali e locali, che bloccano lo sviluppo delle imprese come novelli Gulliver legati dai lillipuziani. 

Riusciranno a vincere, o i lillipuziani avranno ancora la meglio?

(*) Leggi il Taccuino liberale #1#2#3#4#5#6#7#8#9#10#11#12#13, #14#15#16#17#18#19#20#21#22#23#24#25#26#27#28#29#30#31#32#33#34#35, #36#37#38#39#40#41#42#43#44#45#46#47#48#49#50, #51, #52#53#54#55, #56

Aggiornato il 26 settembre 2025 alle ore 13:25