Titolo: “La censura è potere”. Anzi, per certi versi coincide con la sua natura stessa. Anche nei regimi democratici chi dissente dal mainstream, nel caso dell’informazione pubblica, è collocato “fuori ruolo”, nel senso che perde almeno un giro nella giostra degli ego delle penne e delle voci di regime. Tutto ciò come se fossimo ancora nell’era prenumerica, in cui il digitale era allora solo un termine oscuro. A quanto pare, in questo terzo decennio del XXI secolo, tutti fingono di credere che chi controlla l’audience radiotelevisiva abbia il monopolio dell’informazione, mentre è esattamente il contrario, visto che tutti i contenuti informativi sono prodotti quasi esclusivamente via social network. Allora, se le cose stanno così, perché si cercano in ogni modo i prodromi del ritorno (surrogato) al regime fascista, nella mossa di impedire allo scrittore Antonio Scurati di leggere il suo monologo breve sul 25 aprile? Dove sta la censura quando quei contenuti sono stati diffusi per milioni di esemplari, grazie a un post pubblicato sul più frequentato dei social? Consentendo per di più al singolo utente di rileggere lo stesso testo un numero indefinito di volte, e non una tantum come sarebbe accaduto nel caso della comparsa televisiva del suo autore. Perché solo oggi si grida allo scandalo di una televisione pubblica come terra di conquista del vincitore politico di turno?
E come mai, dopo il 1995, non si è dato ascolto al popolo sovrano che allora, con un referendum popolare indetto dal Partito radicale, aveva deciso per la privatizzazione della Rai? Ora, viene da pensare che tutto ciò accada perché da decenni la televisione pubblica costituisce terra di conquista dei partiti più o meno padronali. In altre parole, il sistema radiotelevisivo, per come oggi è concepito, rappresenta uno strumento perfetto, in quanto abbinato a una distopica legge elettorale come quella attuale, priva di radici territoriali. Infatti, se si affida la formazione delle liste agli stessi padri-padroni di partiti e movimenti, anziché selezionare dal basso i singoli candidati attraverso un meccanismo di elezioni primarie, è ovvio che i loro prescelti, se perfetti sconosciuti, abbiano bisogno di più di un passaggio sulle reti nazionali per essere notati. Sicché, lo strumento televisivo è del tutto servente a chi lo controlla politicamente per il migliore piazzamento dei propri candidati, degli opinionisti e intrattenitori di area. Anziché gridare alla lesa maestà, i grandi scrittori e gli intellettuali indipendenti (ma ce ne sono?) dovrebbero piuttosto sottoscrivere un Manifesto di denuncia, in cui si invita a raccogliere le firme per un nuovo referendum sulla privatizzazione della Rai, formulando per l’occasione proposte concrete di come, una volta di nuovo vinta la scommessa, sia possibile costruire un contenitore di informazione pubblica libero dal controllo dello Stato, del Parlamento e dei partiti.
Per esempio, dando forza all’azionariato popolare e a una forma gestionale pienamente autonoma, tipo Cnn, in cui i contenuti e le collaborazioni giornalistiche siano frutto di merito e non di apparentamenti clientelari. Nessuno dice, quando si parla dell’inesistenza dei così detti “editori puri”, che l’unica cosa sensata da fare con effetto immediato sia l’approvazione di una legge molto rigorosa sul conflitto d’interessi, che impedisca i monopoli informativi individuando, altresì, forme di autofinanziamento della stampa libera e indipendente attraverso la modifica del meccanismo dell’otto per mille. Non è, forse, la Libertà l’unica, vera religione laica? Se, però, tutto ciò non fa presa, viene il sospetto che questo muoversi all’unisono di forze della sinistra, che non sono mai riuscite da almeno un decennio a vincere unite una sola elezione generale, sia finalizzato alla “orbanizzazione” dei vincitori del 2022, in vista delle europee di giugno. Il senso politico, cioè, è quello di impedire alle forze conservatrici (accusate di neofascismo e, quindi, di essere una destra “impresentabile” con la quale non ci si può alleare) di unirsi ai centristi e ai popolari europei, per formare finalmente una coalizione alternativa a quella di centrosinistra, che da decenni governa l’Europa e Bruxelles, con i suoi processi lumaca e l’iperburocrazia della messa in esecuzione dei trattati.
Quindi, se qualcuno che si definisce convintamente un “conservatore” non ribadisce a ogni sorgere del sole di essere “antifascista”; se costui per di più intende rafforzare i poteri dell’Esecutivo con l’elezione diretta del presidente (che esiste in non pochi regimi democratici, anche in via surrettizia, dato che viene nominato premier il segretario del partito di maggioranza!), allora si tratta di qualcuno che intende tornare per via obliqua all’esecrato Ventennio. Un reietto, un parìa che deve essere allontanato dall’Olimpo di Strasburgo, per non nuocere alla creatura europea voluta dai Padri fondatori. È ora che questo meccanismo da macchina del fango sia fermato per tempo, facendo in particolare della Rai una Casa di vetro, magari introducendo una sorta di procedura di sorteggio per i conduttori di talk e di programmi popolari di grande ascolto, sul tipo di quello che si vuole adottare per il Consiglio superiore della magistratura.
Aggiornato il 26 aprile 2024 alle ore 12:36