La Rai in Tribunale, non paga 4 consiglieri

La colpa? Essere pensionati. L’Italia ormai non è un Paese per “vecchi pensionati” né per “giovani poveri”. I giornalisti pensionati stanno conoscendo, da maggio, l’amarezza di un prelievo forzoso sulle loro pensioni. Durerà tre anni, salvo annullamento della magistratura.

Il Cda dell’Istituto di previdenza (Inpgi) e i ministri dell’Economia e del Lavoro lo hanno definito un atto di solidarietà inter-generazionale. Ma perché non prevedere allora una generale forma di contributo per gli “attivi” e per i pensionati? Se c’è necessità di pagare lo devono fare tutti, altrimenti salta tutta una serie di principi costituzionali.

In Rai sta accadendo un fatto incredibile, innovativo sotto gli aspetti più negativi dei rapporti tra l’azienda e chi l’amministra. Il paradosso è che su otto consiglieri del Consiglio d’amministrazione quattro sono retribuiti (a 66mila euro lordi l’anno) per le loro responsabilità di amministratori e 4 non sono pagati in alcun modo.

Perché l’assurdo? Perché i quattro sono pensionati e secondo le interpretazioni della legge Madia sugli statali i pensionati che ricoprono incarichi nelle società partecipate dello Stato lo devono fare gratis. Ma i quattro furono nominati dal Parlamento, eventualità non prevista dalla legge. Le avversità burocratiche i nuovi consiglieri le incontrarono subito quando i vertici di viale Mazzini non intendevano assegnare una “location” dove lavorare. Prima ogni consigliere aveva una stanza al settimo piano. Ed era troppo. Senza era anacronistico dato che i consiglieri devono leggere gli atti, valutare le delibere sulla gestione dell’azienda e indicare gli sviluppi industriali. Fare cioè il lavoro per il quale erano stati nominati. Non da privati ma dal Parlamento sulla base della legge di riforma dell’ente di servizio pubblico.

Essendo andati a vuoto i tentativi per sbloccare la situazione che sembrava un equivoco di Pulcinella o di Arlecchino e di fronte al muro degli apparati i quattro pensionati (Arturo Diaconale, Carlo Freccero, Guelfo Guelfi e Giancarlo Mazzuca) hanno rotto gli indugi: hanno denunciato l’azienda per inadempienze e mancata retribuzione a fronte del lavoro regolarmente svolto.

Possibile? Non rientra nella normalità che 4 consiglieri di Cda mettere in atto un’azione giudiziaria per far valere le loro ragioni. I quattro si sono sempre presentati al lavoro per elaborare documenti, decidere le sorti delle attività di una società complessa come la Rai (informazione, fiction, spettacoli, sport, cultura) senza essere pagati. La vicenda passa, quindi, al vaglio del Tribunale che dovrà decidere entro la fine del mese in un momento delicato in quanto il Cda del 22 maggio dovrebbe occuparsi del tetto delle retribuzioni (240mila euro massimo all’anno) da far valere a partire dal 2 giugno per tutti, salvo le star dello spettacolo e alcuni conduttori giornalisti.

Chi gioca con la giustizia? I quattro giornalisti pensionati hanno anche emesso un comunicato per portare la vicenda a conoscenza dell’opinione pubblica. È stato un modo per far conoscere comportamenti che altrimenti non sarebbero stati conosciuti. La complessità delle decisioni di un’azienda di 11.500 dipendenti richiede serenità di giudizio e ponderazione, liberando ogni incomprensione tra i vertici aziendali.

La Rai ci ha abituato a tante cose ma non era mai accaduto che metà del Cda si rivolgesse alla magistratura per svolgere il suo lavoro istituzionale senza discriminazioni di altre parti dell’azienda. Sulla Rai piovono comunque le polemiche per la firma di 244 contratti di collaborazione nel 2016 con persone che non avevano mai lavorato in azienda e per i troppi “esterni” considerato che viale Mazzini ha in organico 277 dirigenti, 297 giornalisti con il grado di dirigente, 2623 impiegati, 1914 addetti alle regie, 1677 impiegati alla produzione, 1393 giornalisti, 1198 quadri, 917 operai, 895 addetti alle riprese, 122 orchestrali senza contare gli addetti alle trasmissioni/rubriche e speciali fuori dei Tg e giornali radio.

A “Mamma Rai” c’è posto per tutti. Per i pensionati, no.

Aggiornato il 18 maggio 2017 alle ore 10:10