Torna la par condicio e con essa le dispute politiche sull’uso degli spazi radio-televisivi. Si può irreggimentare in un quadro di norme fissate dall’Agcom e dalla Commissione di vigilanza Rai la partecipazione dei soggetti politici? Le nuove disposizioni hanno fatto entrare in ebollizione il mondo politico. Ad aumentare la confusione ci si è messa la vicepresidente della Bicamerale Maria Elena Boschi, il braccio destro di tante battaglie di Matteo Renzi. L’esponente di Italia viva con l’intento di “assicurare la completezza e imparzialità dell’informazione” ha proposto di mettere sullo stesso piano politici, opinionisti e giornalisti. La proposta di Boschi non sembra, tuttavia, trovare al momento consensi, tanto che il presidente della Vigilanza Barbara Floridia del Movimento 5 stelle trova “fortemente problematica la proposta. Alla difficoltà oggettiva per quanto riguarda l’applicazione di una regola del genere si aggiunge il problema più profondo della libertà della stampa”. Il tema si è posto in tutte le campagne elettorali a partire dalla prima legge del 1997 e dal decreto legislativo del 2021 che individuano nella tutela del pluralismo uno dei compiti principale dell’Autorità nel settore radiotelevisivo.
Secondo il presidente dell’Agcom Giacomo Lasorella, l’agenzia ha cercato sempre di risolvere il problema della presenza delle forze politiche in radio e tivù nel modo migliore, stabilendo cioè nel regolamento che “devono essere bilanciate le posizioni di persone chiaramente riconducibili ai partiti e alle liste concorrenti, oltre a quelle espresse da soggetti non direttamente partecipanti alla competizione elettorale”. Nascono da qui equivoci e incertezze e le valutazioni prese caso per caso. In realtà, se non tutto può essere irreggimentato in un quadro di norme, la conquista di più spazio possibile è considerato un elemento chiave per ottenere consensi. Il terreno di scontro diventa la necessità di uniformare la normativa per la radio e tivù pubblica e per le emittenti private. Lasorella ha precisato nell’udienza in Parlamento che “la mancata definizione dei criteri omogenei rischia di condurre a difformità di trattamento e d’indebolire l’attività dell’Autorità”. Nessuno schieramento politico vuole cedere e viene contestato il regolamento che prevede che siano riservati gli stessi spazi a tutte le liste, partiti grandi o piccole formazioni politiche, in corsa per le Europee. Chi terrà le file delle compensazioni? Come interverranno i Comitati regionali di controllo sulle radio-telediffusioni? Un labirinto in cui qualcuno vorrebbe mettere anche la questione share: cioè dell’ora e dell’importanza della trasmissione. Caos. E chi impedirà ai politici di serie A, B o C di partecipare a programmi che non siano d’informazione politica? Ci sarà un buttafuori davanti agli studi di trasmissioni di varietà, reality, intrattenimento?
L’espressione latina par condicio venne utilizzata per indicare la parità di trattamento e d’imparzialità al fine di assicurare a tutti i partiti politici l’accesso ai mezzi di comunicazione. Alle norme più stringenti della par condicio fa capo la disciplina della comunicazione istituzionale (come fissato dalla legge del 2000), alla quale sono soggette tutte le Pubbliche amministrazioni. A livello locale, l’attività di vigilanza è rimessa ai Comitati regionali per le comunicazioni. Nei periodi di campagna elettorale e referendaria ciascun soggetto politico interessato può segnare violazioni, entro dieci giorni dal fatto, con richiesta di ripristino delle condizioni di parità.
Aggiornato il 05 aprile 2024 alle ore 17:43