In attesa dei nuovi   vertici della Rai

Il mese di agosto è sempre stato in Rai il periodo delle nomine interne. Venivano fatti e cambiati fino all’ultimo momento pacchetti per trovare gli equilibri politici (le caselle da riempire).

Questa volta l’attesa è diversa. Si attendono i nuovi vertici di viale Mazzini. Quelli vecchi sono scaduti dopo 3 anni di gestione e già in prorogatio. Lo si vede anche nella programmazione. L’azienda pubblica si regge sul varietà d’archivio “Techetechetè”, sulle repliche del “Commissario Montalbano”, sulla fiction “Un passo dal cielo” e “Don Matteo”, entrambe con Terence Hill; su film come “Audace colpo dei soliti ignoti” di Vittorio Gassman, su “Superquark” di Piero Angela (86 anni ben portati), sull’immancabile “Festival Internazionale del Circo di Monte-Carlo” e, fino a settembre, “Reazione a catena” di Amadeus.

Per la successione della presidente Anna Maria Tarantola, di Francesco Pinto, Antonio Pilati, Guglielmo Rositani, Antonio Verro, Gianfranco De Laurentiis, Benedetta Tobagi e Gherardo Colombo la politica è in fibrillazione. Tra ripensamenti, ritardi, contrasti, divisioni e riscritture del testo originario di Palazzo Chigi sono trascorsi ormai cinque mesi da quando il premier Matteo Renzi annunciò che la riforma sarebbe stata operativa da marzo cancellando la legge Gasparri vista dall’ex sindaco di Firenze come il fumo agli occhi.

Siamo arrivati alla fine di luglio e il problema dei problemi resta: nominare i nuovi membri del cda e sostituire il direttore generale con la figura dell’amministratore delegato oppure attendere il varo della riforma e quindi rinviare tutto a settembre? Lo scontro è duro e si protrae da marzo, quando il premier assicurò: “non faremo eleggere il nuovo cda con una legge chiamata Gasparri”. Renzi però è stato costretto prima a presentare un disegno di legge, poi a subire profonde modifiche in sede di discussione in Commissione al Senato e ora, alla stretta finale, il sottosegretario Antonello Giacomelli non esclude il ricorso al decreto legge.

Con una serie di passaggi poco chiari e fortemente criticati dal presidente della Commissione parlamentare di vigilanza, il penta stellare Roberto Fico. Sul tavolo delle discussioni c’è anche il piano di accorpamento delle news presentato dall’uscente direttore generale, Luigi Gubitosi, che prevedono due soli Tg al posto degli attuali otto. Per la tv pubblica dev’essere evitato il modello Frankenstein e da anni si ripete “via i partiti” dalla Rai. Poi invece si scopre che tutte le leve di potere del nuovo assetto sono di derivazione politica e in particolare sotto il controllo di Palazzo Chigi.

È una situazione incredibile. Il Governo, osserva Fico, che non ha scritto una buona legge, che ha perso tempo per presentare un suo testo quando in Parlamento giacevano varie proposte di legge su cui lavorare ora chiede di accelerare i tempi, e lo fa con un emendamento che in pratica apre le porte per rinnovare il cda con le norme della legge Gasparri, trasformando il direttore generale in amministratore delegato con ampi poteri. Poi più in là verrà varata la riforma. Un intrico, secondo le opposizioni, per occupare subito i vertici di viale Mazzini in vista delle delicate sfide politiche di autunno (legge di stabilità, riforme costituzionali e legge elettorale) e delle elezioni amministrative della prossima primavera.

Se il Senato non dovesse approvare in tempo il disegno di legge così modificato sarebbe pronto un decreto con relativa richiesta di fiducia. Ma il Movimento 5 stelle replica: se il servizio pubblico non può essere disciplinato da una legge che si chiama Gasparri non può esserlo neppure da un decreto che si chiami Renzi.

La riforma della Rai spetta al Parlamento.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:23