
Macron ha deciso: la Francia riconoscerà ufficialmente lo Stato di Palestina. Lo farà a settembre, davanti all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, tra sorrisi diplomatici, discorsi accorati e il plauso garantito delle sinistre mondiali. Un grande gesto, ci diranno. Una svolta storica, aggiungeranno. Ma dietro tutta questa pompa magna si nasconde una verità tanto semplice quanto imbarazzante: quello Stato non esiste.
Non ha confini. Non ha un governo unitario. Non ha istituzioni comuni, né una capitale riconosciuta. Non ha neppure la parvenza di una struttura statuale. E allora cosa riconosce davvero Macron? Un’illusione? Un esercizio retorico? O forse — più banalmente — un’occasione per aggraziarsi un pezzo di elettorato interno sempre più sensibile alla causa palestinese e sempre meno integrato nella Repubblica?
A ben vedere, il gesto francese è il classico atto di forza di chi non ha più alcuna forza. Macron non ha specificato chi governa lo “Stato” che intende riconoscere: l’Autorità nazionale palestinese in Cisgiordania, corrotta e delegittimata, o Hamas a Gaza, organizzazione terroristica che inneggia apertamente alla distruzione di Israele? Non ha indicato dove si troverebbero i confini: si riferisce alle linee del ’67? A Gerusalemme Est? A Gaza? Non lo sappiamo. Forse non lo sa nemmeno lui. D’altronde, è facile riconoscere qualcosa che non comporta alcuna responsabilità concreta.
Al di là del gesto francese, il punto è che parlare oggi di uno “Stato palestinese” è un’operazione tanto suggestiva quanto scollegata dalla realtà.
Uno Stato, per esistere, deve avere alcune caratteristiche minime: un popolo coeso, un territorio definito, un governo sovrano, un ordinamento giuridico, un controllo effettivo del proprio spazio. Nessuna di queste condizioni è soddisfatta. Esistono due entità separate, spesso in conflitto tra loro: l’Autorità nazionale palestinese in Cisgiordania, delegittimata e corrotta, e Hamas nella Striscia di Gaza, un gruppo terroristico che inneggia apertamente alla distruzione di Israele e governa con metodi violenti e oscurantisti. Due poteri che non si parlano, non si riconoscono e, in più occasioni, si sono combattuti.
In questo quadro frammentato, riconoscere uno “Stato palestinese” significa riconoscere cosa, esattamente? Hamas? L’Anp? Una proiezione teorica? Un’entità astratta che non controlla né territorio né popolo? È facile dirsi paladini della pace, molto più difficile affrontare le sue condizioni reali: responsabilità, compromessi, interlocutori credibili. E nessuna di queste condizioni esiste oggi.
Il riconoscimento unilaterale, soprattutto in questa fase storica, serve solo a due scopi: uno, rafforzare Hamas sul piano politico e diplomatico, presentandolo come legittimo rappresentante della causa palestinese; due, consentire ai governi occidentali di darsi una patina morale, accattivandosi le simpatie di una parte dell’elettorato e lavandosene le mani di ogni analisi seria. Il tutto a costo zero, naturalmente: non un soldo, non un vincolo, non una proposta concreta. Solo parole, risoluzioni, dichiarazioni.
Ma uno Stato non nasce perché qualcuno lo riconosce: nasce quando esiste. E la realtà è che oggi, in Palestina, esiste solo un insieme disordinato di entità locali, fazioni rivali, clientelismi, radicalismi e un popolo diviso e manipolato. Dopo il 7 ottobre 2023, poi, la distanza tra quella realtà e l’idea di una statualità credibile si è fatta ancora più abissale. Chi parla oggi di uno “Stato palestinese” come se fosse un fatto compiuto sta solo affondando ancora di più l’unica ipotesi seria di costruirlo, un giorno.
Perché il riconoscimento a tavolino, senza riforme, senza garanzie, senza condizioni, distrugge ogni incentivo alla responsabilità. Rafforza chi ha scelto la violenza. Umilia chi ha provato — con mille limiti — a trattare. E rende sempre più difficile avviare un vero processo negoziale.
Il paradosso è che proprio chi invoca la pace e la convivenza è il primo a sabotarle. Perché la pace non si improvvisa. Si costruisce. Con pazienza, con sacrificio, con interlocutori affidabili. Con disarmo, riforme, istituzioni serie. Non con conferenze stampa e riconoscimenti farlocchi.
Lo “Stato di Palestina”, oggi, non esiste. Fingere il contrario non lo farà nascere. Anzi, rischia di condannarlo definitivamente.
Aggiornato il 29 luglio 2025 alle ore 10:56