Mattia Feltri, nel suo “Bancarotta” su La Stampa, ossessionato da quanto accade in Iran (giustamente), chiede conto (giustamente) del sostanziale silenzio e della concreta indifferenza di buona parte della classe politica italiana, dei cosiddetti opinionisti o influencer che dir si voglia, della stessa opinione pubblica che – ultimo anello di una catena – poco o niente si appassiona per quello che accade e ormai mobilita un intero popolo e non solo la sua più giovane generazione. Gli interrogativi di Mattia Feltri hanno una ragion d’essere: perché tanto silenzio, tanta indifferenza?
Perché, per inciso, i Maneskin gridano: “Fuck Putin”, e non c’è un equivalente: “Fuck ayatollah iraniani”? Solo timore di una fatwa alla Salman Rushdie? Presuntuoso, una risposta l’azzardo, con il conforto di passate situazioni diverse certamente, ma uguali nel concreto effetto: a suo tempo, perché scarsa attenzione alla Cecenia massacrata da Vladimir Putin? Perché indifferenza a quello che sempre Putin ha realizzato in Siria, per sostenere il suo vassallo Bashar al-Assad?
Perché indifferenza per il Tibet oppresso da Pechino, e potrei citare tantissimi altri casi? Perché, penso, non si sono mossi gli Stati Uniti. Nel caso dell’Ucraina e della guerra in corso, il “terreno” è appunto quello sventurato Paese, ma il confronto-scontro è tra Usa e Russia. Se gli Usa fossero rimasti, come per altre situazioni sostanzialmente inerti, anche noi europei non ci saremmo mobilitati (si fa per dire, poi, che tanti invocano una generica pace, pochi vanno al cuore della questione: Mosca cessi la guerra). Aggiungo un elemento che va al di là del caso specifico: una qualunque minoranza oppressa che voglia far ascoltare al mondo le sue ragioni, attirare su di sé solidarietà e sostegno, abbia cura innanzitutto di procurarsi un nemico: Washington, o in subordine, Israele; meglio se entrambi. Sicuramente quella causa verrà conosciuta, sostenuta, apprezzata.
Aggiornato il 19 novembre 2022 alle ore 14:07