Se io fossi Beppe Severgnini

Se io fossi Beppe Severgnini, cercherei di camuffare l’invidia per la chioma bionda e impertinente di Boris Johnson, BoJo, il primo ministro britannico costretto a dimettersi per cosucce per le quali qui da noi neppure l’ultimo sostituto della procura aprirebbe un fascicolo. L’invidia somiglia a certe malattie esantematiche, che non si possono nascondere. Beppe ha un caschetto bianco incollato in testa, insensibile al vento. Il biancore e la fissità conferiscono all’editorialista un che di gufaceo, accentuato dalla foggia degli occhiali da intellettuale impegnato. Qualcuno, infatti, ha intravisto pure una somiglianza del Beppe nazionale con certe civette dei fumetti. Insomma, se io fossi lui, che purtroppo non sono, mi sarei trattenuto dall’attribuire soltanto a BoJo tutta la colpa delle dimissioni da primo ministro, se non altro perché la smodata esagerazione nel giudicarlo colpevole scopre l’esantema della gelosia che gli scatena la criniera dorata, risplendente, fluttuante del premier inglese.

Al sodo, la colpa che l’inacidito Beppe addossa a BoJo nel necrologio sul Corriere consiste “nell’aver preso il meglio dell’inglesità e averne tirato fuori il peggio”. L’elenco è impressionante: “L’umorismo è diventato buffoneria. L’understatement, incoscienza. L’orgoglio, esibizionismo. Il realismo, cinismo. Il coraggio, spavalderia. La prontezza, improvvisazione. L’eccentricità, disprezzo per le regole. La ritrosia, ripetuta bugia”. Se il catalogo è questo, Beppe deve aver provato più di un attacco d’invidia per il testone scapigliato di BoJo, un travaso di bile. Severgnini è una radica di anglofilo. Nell’ambiente lo sanno tutti, sicché il suo bouquet di contumelie non può essere stato rivolto contro il Governo legittimo di Sua Maestà Elisabetta II, né contro il primo ministro in carica, né contro l’adulterazione delle virtù specifiche del cittadino britannico, né contro la democrazia rappresentativa di chi l’ha inventata. No, proprio no!

Se io fossi Beppe Severgnini, dunque, sconfesserei il pessimo epitaffio del povero premier e confesserei d’essermi lasciato sopraffare dall’invidia e dalla gelosia per la straripante capigliatura di BoJo, per il colore del suo casco pilifero somigliante all’elmo rilucente d’oro di un condottiero greco, per quei capelli gialli svolazzanti da farli sembrare spighe di grano ondeggianti al vento.

Ricorderei che l’establishment d’Oltremanica ha sempre ricavato gioie e dolori dalle bevute e dall’omofilia, i due pretesti che indirettamente hanno rovinato la carriera di BoJo. I celebrati colleges britannici erano anche scuole accettate di sodomia mentre il grande Oscar Wilde veniva condannato al carcere per omosessualità. I party alcolici sono un’istituzione non meno dei pubs. L’onorevole Christopher Pincher, nomen omen, è un palpeggiatore di nome e di fatto, non per questo premiato da BoJo, contro il quale la suprema ipocrisia britannica (sia detto con profondissima ammirazione!) è tuttavia insorta, accusandolo di mendacio o reticenza al cospetto della nazione riunita a Westminster.

Perciò, se io fossi Beppe Severgnini, cercherei di allontanare l’incubo della chioma dorata di Boris Johnson, mi appagherei del biancore del mio caschetto ed elogerei anziché biasimare i silenzi del primo ministro su drinks e pizzicotti. BoJo, tacendo, non ha mancato in nulla. È stato invece doverosamente discreto, come un vero gentleman in fatto di sbronze e sesso.

Aggiornato il 12 luglio 2022 alle ore 10:04