Referendum Giustizia: il fallimento di una legislatura

Il mancato raggiungimento del quorum costituisce non soltanto il naufragio dell’iniziativa referendaria – dagli obiettivi condivisibili, ma operata coi mezzi più confusi e contraddittori – bensì pure il fallimento sui temi della giustizia di una intera legislatura: partita dalla manipolazione della prescrizione, proseguita con l’introduzione di istituti dagli effetti devastanti, quale l’improcedibilità in Appello e in Cassazione, e con destinazioni dei fondi Pnrr provvisorie e inutili, come l’ufficio per il processo, senza affrontare direttamente uno solo dei problemi emersi dal cosiddetto “caso Palamara”.

Se il bilancio è di cinque anni perduti, unitamente a risorse e a occasioni di riforme, il senso di responsabilità impone alle forze politiche, all’indomani di questa manifestazione di sfiducia dell’elettorato, di individuare i veri nodi della questione giustizia in Italia e, al di là delle divisioni, di assumere l’impegno perché la prossima legislatura sia dedicata ad affrontarli e a risolverli.

Ciò vuol dire, per restare allo stretto ambito della magistratura, puntare, oltre che a una vera e formale separazione delle carriere, che comunque ha bisogno di una modifica costituzionale, a estrapolare il giudizio disciplinare dal Consiglio superiore della magistratura, per affidarlo a un giudice non elettivo, ad adeguare gli organici di magistrati e personale di cancelleria, elevando l’attuale media della metà rispetto agli organici degli altri Paesi Ue, a rivedere i meccanismi di ingresso nella funzione e di progressione in carriera, e quindi a cambiare le modalità del concorso e della nomina dei capi degli uffici.

Chi ha ricevuto un mandato dagli elettori, e siede in Parlamento e nel Governo, vari queste indilazionabili riforme, senza aggiramenti per via referendaria: che fanno tornare al punto di partenza, avendo nel frattempo bruciato tempo e denaro.

(*) Centro studi Rosario Livatino

Aggiornato il 13 giugno 2022 alle ore 16:53