Prepotenza e nemesi: l’autodistruzione del partito dei giudici

La “Hybris” chiama sempre la “nemesys”. O, se si preferisce, dopo l’era della prepotenza istituzionale, per il partito dei giudici – e speriamo non per tutta la magistratura – sta arrivando, sulle ali del vento, la stagione dell’autodistruzione.

Dalle stelle alle stalle nell’immaginario – anche falsato dai media – della pubblica opinione. Chi lo avrebbe detto anche solo un paio di anni orsono. E invece… “daje e daje”, come dicevano gli antichi, “se maturano pure le canaje”. È di qualche giorno fa una quasi condivisibile idea dell’ex presidente del Senato, Marcello Pera, cioè quella di cambiare la Costituzione per assoggettare l’ufficio del pubblico ministero all’esecutivo e al controllo parlamentare. Che non è una bestemmia, visto che pare che in Europa sia quasi la regola e, inoltre, in questo momento appare oggettivamente come il male minore. Nonché l’esplicitazione del cattivo karma del cosiddetto partito dei giudici.

Naturalmente questa riforma costituzionale andrebbe accompagnata con quella dell’abolizione dell’obbligatorietà dell’azione penale. Che in Italia – pochi lo sanno e molti fingono di non saperlo – fu introdotta per la prima volta dal codice Rocco e quindi dal Fascismo. Dovrebbe essere invece il Parlamento (e non l’arbitrio dei singoli o il caso) anno per anno – come è in tanti Paesi – a indicare le priorità, su proposta dell’esecutivo pro tempore. Non è una bestemmia. È una realtà in molti Paesi e rischia di diventare una necessità impellente qui da noi.

Giovedì scorso chi voleva ha potuto assistere a uno spettacolo tanto disdicevole quanto da fantapolitica: i maggiori protagonisti e alcune comparse di questo ultimo scandalo – che solo l’ipocrisia non lo fa chiamare con il nome di un noto ex magistrato – si prendevano quasi a male parole l’un l’altro nella trasmissione di Corrado Formigli su La7. Con il conduttore più imbarazzato che interessato a farli continuare a mostrarsi alla gente per quel che sono: uomini come tutti gli altri, con debolezze e miserie e poca ma poca nobiltà.

Di questo passo l’autodistruzione della patina di stima che sinora li ha protetti dallo sdegno da parte dei cittadini comuni inizierà a manifestarsi urbi et orbi. Anche perché l’autostima quasi narcisistica che nei decenni scorsi è stata usata come scudo contro le critiche si è ormai dileguata da tempo. È evaporata nel tragicomico se non nel ridicolo. Nessuno sta a sentire nessuno. Il Csm (Consiglio superiore della magistratura) oramai prende schiaffi dal Tar del Lazio e da tutti le sezioni del Consiglio di Stato sulle nomine e sulle promozioni o anche sulle punizioni. Gli alti discorsi retorici che si sentono a Radio Radicale nei direttivi dell’Anm (Associazione nazionale magistrati) danno semplicemente la nausea e persino l’attuale capo dello Stato non sa più come venire a capo della situazione.

Oltre a prendere in considerazione la riforma costituzionale proposta da Pera, un’altra possibilità di rimettere le cose a posto potrebbe venire dai referendum dei Radicali: da qualche giorno anche la Lega di Matteo Salvini sta dando una mano per la raccolta delle firme. Non sarà facile, perché in Italia contro i referendum si attiva subito la parte peggiore della politica – e in questo caso della magistratura – quantomeno per boicottarne l’esito, che spesso è favorevole. Come fu già per il quesito promosso sull’onda emotiva del caso Tortora.

Forse sarà allora l’Europa a imporre a questi signori – pochi a cospetto di quelli che fanno il proprio dovere senza credersi influencer tipo Fedez – di rientrare nei ranghi. Di certo in Italia quello del partito dei giudici è diventato negli anni il più grave pericolo per la democrazia. Non hanno fatto un golpe strisciante, ma poco ci manca: tutti siamo in balia di questa prepotenza e di questa hybris. E se non ci saranno le riforme dovremo solo sperare nella dea “nemesys”.

Aggiornato il 13 maggio 2021 alle ore 09:27