Il crollo della civiltà occidentale come civiltà del diritto

La guerra israelo-palestinese, la guerra in Ucraina, la pandemia ancora prima, oltre la tragicità intrinseca di cui ciascun evento è tristemente dotato, portano con sé una ulteriore infausta circostanza, cioè la mancanza di consapevolezza del crollo della civiltà occidentale come civiltà del diritto. La gravità di una simile affermazione, che riflette soltanto la gravità della situazione, in tanto si può cogliere in quanto si prenda in considerazione lo scarso ruolo che la ragione giuridica sta svolgendo e ha svolto nei tre suddetti scenari, surclassata da altri tipi di valutazione, probabilmente legittimi, ma sicuramente non giuridici. Per quanto riguarda la guerra israelo-palestinese, l’Occidente non soltanto non è mai riuscito negli ultimi decenni a risolvere il conflitto che si trascina dal 1948, ma soprattutto non è riuscito a garantire che la reazione di Israele al feroce e disumano attacco di Hamas del 7 ottobre 2023 fosse oltre che legittima anche e soprattutto proporzionata, garantendo una adeguata protezione della inerme popolazione palestinese secondo le norme sancite dal diritto internazionale di guerra.

Per quanto riguarda la guerra in Ucraina, invece, l’Occidente sembra aver ceduto soltanto alla logica bellicistica, limitandosi a rifornire Kiev di armamenti e danari, ma tralasciando quasi del tutto le alternative diplomatiche e giuridiche che avrebbero potuto condurre non soltanto ad un più rapido processo di pace, ma alla tutela dei diritti fondamentali delle popolazioni che stanno subendo il conflitto che si protrae oramai da un decennio, cioè dal 2014. In riferimento alla pandemia, il cedimento di ogni sistema legale e di ogni logica giuridica legata alla permanenza dello Stato di diritto in favore dello Stato d’emergenza e della logica dello Stato d’eccezione, come più volte ribadito su queste pagine da parte di chi scrive, ha dimostrato con estrema tristezza come la gestione della diffusione di un virus ha messo in ginocchio secoli di stratificazione di garanzie giuridiche poste a tutela della persona dalla tendenza all’assolutismo, che è in una certa misura connaturata con la detenzione e la gestione del potere politico.

Negli ultimi anni, insomma, si è assistito ad un progressivo crollo della struttura della civiltà occidentale come civiltà del diritto, per di più con la complicità ora solerte e ultrattiva, ora passiva e sonnolenta della stessa classe dei giuristi oramai ridottisi, un po’ ovunque in Occidente, a meri certificatori delle decisioni politico-ideologiche anche quando queste sono palesemente in contrasto e violazione delle libertà fondamentali e dei diritti naturali della persona. Alla ragion giuridica nella guerra israelo-palestinese, infatti, l’Occidente ha preferito la ragion politica; alla ragion giuridica nella guerra ucraina, l’Occidente ha preferito la ragion militare; alla ragion giuridica in pandemia, l’Occidente ha preferito la ragion sanitaria. Tutti e tre i casi, ciascuno pro quota, e soprattutto congiuntamente tra loro, rivelano lo stato di salute del pensiero giuridico trasversalmente a tutta la civiltà occidentale dimostrando almeno tre circostanze.

In primo luogo: il diritto è una dimensione costituiva della civile e pacifica convivenza tra individui e tra Stati se e soltanto nella misura in cui non viene ridotto a mero strumento di legalizzazione della volontà politica, e soltanto se rimane l’unico autentico presidio di tutela della persona in quanto unica effettiva forma di limite all’azione politica, qualunque sia la motivazione che essa adduce per autolegittimarsi (bellica, ideologica, sanitaria, ambientale, energetica) dinnanzi all’opinione pubblica nazionale o internazionale. Il diritto, infatti, e proprio questa consapevolezza la civiltà dovrebbe recuperare, non può e non deve essere ridotto a mero strumento di esercizio del potere politico senza rischiare non soltanto di snaturare il proprio ruolo e la propria forza, ma per di più senza rischiare di rivoltarsi contro la dignità e la libertà di quell’essere umano di cui è riflesso ed emanazione e di cui dovrebbe essere scudo di protezione e non arma di violazione.

In secondo luogo: sebbene da parti dei più il suddetto crollo non sia stato percepito, anzi ciascuno ben si rallegra degli esiti fino ad ora conseguiti nella gestione delle tre suddette crisi internazionali compiacendosi delle misure fino ad ora adottate, non significa che esso non sia realmente accaduto, perché, in genere, il defunto è sempre l’ultimo a sapere di essere morto. Ciò su cui si dovrebbe riflettere, semmai, è proprio il perché da parte dei più non sia stato avvertito il suddetto crollo del pensiero autenticamente giuridico dinnanzi alle tre predette crisi. Il motivo, almeno per chi scrive, è duplice. Da un lato, infatti, non è stato percepito poiché la gran parte dei cittadini delle popolazioni occidentali non è abituata a pensare giuridicamente, né la propria vita, né la propria coesistenza, né tutto ciò che nel quotidiano accade. Sebbene l’invenzione (nel senso etimologico) del diritto rappresenti se non la più grande, almeno una delle più grandi scoperte della civiltà occidentale, proprio la civiltà occidentale sembra maggiormente propensa a disinteressarsi all’adozione di una mentalità giuridica. In Occidente nessuno penserebbe mai di trascurare il pensiero scientifico, o il pensiero estetico, o il pensiero economico, poiché tutti sembrano fermamente convinti che non si possa vivere senza la scienza, senza l’arte, senza la ricchezza; si può, invece, trascurare la dimensione giuridica della vita, riducendola ora alla legalizzazione della volontà politica, ora alla pretesa giudiziaria del singolo che rivendica qualcosa di transeunte e di specificamente individualistico. Dall’altro lato, inoltre, il suddetto crollo non è stato percepito proprio perché la classe odierna dei giuristi è sempre meno sensibile non soltanto al valore del diritto, ma anche e soprattutto al valore della persona che dovrebbe essere il fondamento del diritto come valore. I giuristi sono essi stessi sempre più propensi a dismettere la ragion giuridica per adottare altre logiche, come quella politica, quella ideologica, quella economica, quella sanitaria, quella bellica, quella ambientale, quella scientifica: chi tra i giuristi di oggi difende il diritto in quanto tale considerato? Chi tra loro è interessato alla preservazione del diritto come valore anche se ciò implica andar contro le risultanze scientifiche o le esigenze politiche? Chi tra i giuristi occidentali odierni è disposto a subordinare la realtà al diritto invece di subordinare il diritto alla realtà?

In terzo luogo: il suddetto crollo non è stato percepito, seppur sia clamorosamente avvenuto, per motivazioni di tipo “inerziale”, cioè perché è avvenuto come movimento interno alla stessa civiltà occidentale che è sempre a sua volta in movimento e che non resta mai in sosta a riflettere. Quasi nessuno o in pochissimi, dunque, hanno avvertito lo smottamento che il crollo del pensare giuridico ha causato in questi ultimi anni. Chiarita la diagnosi, occorre una breve proposta di possibile terapia. Per un verso è opportuno che la classe dei giuristi occidentali torni a riflettere in modo sintetico intorno alla natura del diritto dismettendo ogni vocazione analitica che oramai è del tutto insufficiente non soltanto per la comprensione del fenomeno giuridico in quanto tale considerato, ma anche e soprattutto per la trasmissione generazionale dell’autentico modo di concepire il diritto e di renderlo effettivo nella quotidiana esperienza.

Per altro verso, infine, è quanto mai necessario e urgente che venga abbandonata ogni prospettiva tecnicistica della vita in genere e del diritto in particolare, che cioè sia riscoperto il diritto come valore in sé, cioè come dimensione non strumentalizzabile, non subordinabile, non trascurabile rispetto a tutte le altre dimensioni della vita umana. Senza la consapevolezza del suddetto crollo e senza il tentativo di ricostruzione del senso del diritto oramai smarrito, non soltanto la civiltà occidentale sarà sempre più fragile, ma rischia di trovarsi in uno scenario quanto mai apocalittico in cui ogni pace non può che essere sempre più effimera, e in cui ogni guerra o la gestione di qualsivoglia crisi non può che essere sempre più cruenta e, ancor peggio, in tanto anti-umana in quanto irrimediabilmente antigiuridica.

Aggiornato il 29 aprile 2024 alle ore 09:57