La Festa del papà (19 marzo), come la Festa della mamma (9 maggio) sono due feste per diversi aspetti politicamente scorrette, perché le parole papà e mamma sarebbero “discriminatorie” per le coppie gay. È questo uno dei corollari della religione apparentemente anti-discriminatoria, ma in realtà anti-occidentale, che si chiama “politicamente corretto”, attualmente molto in voga presso molti intellettuali occidentali. I chierici di quella nuova religione anti-occidentale vorrebbero sostituirle con feste del “genitore 1” e del “genitore 2” come già viene fatto in molti paesi occidentali sui contratti matrimoniali e in Italia sulle carte di identità dei minori di 14 anni.
Le industrie – in specie quelle dei dolciumi come la Nestlé, e quelle del regalo – che per timore di boicottaggi sono sempre prone ai desiderata delle aggressive lobby politicamente corrette, stanno già studiando il calendario per scegliere le date in cui festeggiare “genitore 1” e “genitore 2”. Non sarebbe politicamente corretto chiamarli “papà” e “mamma”. Si mira a fare addirittura scomparire dalle lingue occidentali quelle due parole perché “discriminatorie”. Un vero orrore che ha anche un obbiettivo politico.
In realtà si vuole colpire la realtà che quelle due parole indicano: la famiglia naturale. Si parte dalle parole per mettere in discussione la famiglia. Senza la famiglia naturale l’Occidente sarebbe l’unica società al mondo ad essere privata dell’istituzione principale su cui sono fondate tutte le società e tutte le civiltà del mondo (dove nessuno si sogna di mettere in discussione la famiglia). Allo stesso tempo, si vuole sostenere la anti-scientifica teoria del gender che nega il carattere biologico della sessualità, della paternità e della maternità, che sarebbero invece una costruzione sociale e culturale e quindi oggetto di scelta soggettiva ed arbitraria. L’Occidente si priverebbe così del concetto eticamente orientativo di natura umana. Si priverebbe anche dei concetti di scienza e di oggettività, dato che su questi prevarrebbe il criterio pre-moderno e arbitrario della “correttezza politica”. Non è vero quel che è vero (il sesso biologico), ma quello che è politicamente corretto (il sesso scelto).
La Festa del papà e quella della mamma e le parole stesse sarebbero “discriminatorie” per le coppie lesbiche dove vi sono due mamme e per le coppie maschili dove una mamma vera non c’è. Sono scorrette, anche perché si festeggiano nel giorno e nel nome di Giuseppe e di Maria e si riallacciano così alla tradizione religiosa cristiana occidentale, che la nuova Vulgata vuole cancellare e sostituire. E soprattutto sono scorrette, perché celebrano la “sacra famiglia” naturale che i chierici anti-occidentali vogliono fare scomparire dalla faccia dell’Occidente. Il fenomeno non si limita ovviamente alle Feste della mamma e del papà.
L’Università di Manchester ha proibito al personale di utilizzare i termini “madre” e “padre” per evitare pregiudizi ai danni dei “genitori gay”. Essa suggerisce invece l’uso di termini neutri come “partner” o “tutore” e la sostituzione dei termini “persone” o “individui” (in luogo di uomini o donne) e di “partner” (in luogo di marito o moglie). La stessa Università ha redatto una “guida” creata da un “Comitato per l’uguaglianza, la diversità e l’inclusione” di sapore vagamente sovietico. In Francia l’anno scorso in diverse scuole, invece della Festa della mamma, si è celebrata la “Festa dei genitori”.
La neo-lingua è poi un fenomeno che accompagna i movimenti “rivoluzionari”. Se si vogliono rivoluzionare le istituzioni, bisogna anche ribaltare la connotazione positivo/negativo che le parole recano con sé, introducendo così nuove valutazioni e nuovi concetti che sostituiscono quelli vecchi. Non a caso, quando nel 2005 il Governo socialista di José Luis Rodríguez Zapatero varò la sua “rivoluzione familiare”, decise anche di vietare i tradizionali riferimenti di genere nei documenti legali relativi alla famiglia. Sui certificati di matrimonio spagnoli, “per non discriminare i coniugi gay”, parole come “marito” e “moglie” furono sostituite da “sposo A” e “sposo B”. Di conseguenza, nei certificati di nascita, “padre” e “madre” vennero invece rimpiazzati da due neologismi: “genitore A” e “genitore B”. Non era una questione solo di parole né solo di discriminazione. Zapatero voleva dire che le famiglie naturali hanno un eguale valore rispetto a quelle gay e che il sesso biologico non faceva differenza: che il padre (o la madre) fosse biologicamente maschio o femmina, non doveva fare alcuna differenza. Dietro le parole si nascondeva un’ideologia: quella della no-difference sessuale. Fu l’inizio di una vera e propria rivoluzione non solo nel linguaggio, ma nei costumi e nel pensiero pubblico.
In Canada il termine “genitore naturale” è stato sostituito con la dizione “genitore legale”. Nel Massachusetts, nei certificati di nozze, “moglie” e “marito” hanno lasciato il posto a “parte A” e “parte B”. La Cardiff Metropolitan University, una delle maggiori del Regno Unito, ha stilato una lista di 34 parole contenenti il suffisso “man” (uomo) che docenti e studenti sono “invitati” a non usare più, sostituendole con altre non “sessiste”. Via “chairman”, a favore del neutro “chair”; “fireman”, pompiere, è sostituito da “firefighter”; casalinga, “housewife”, lascia il posto a “consumer”; umanità, “mankind”, viene rimpiazzata da “humanity”; anche “homosexual” viene meno a favore di “same sex”; assistente, “right hand man”, diventa invece “chief assistant”.
La neo-lingua è stata adottata nelle stesse ore dalla British Medical Association, che ha invitato i medici a non parlare più di “expectant mothers” (“mamme in attesa”), ma di un più generico “pregnant people” (“gente incinta”), per rispettare l’eventuale natività gay. In Belgio, l’Università di Lovanio ha creato un vero e proprio sillabo di “parole proibite” di natura sessista. Ultime notizie sulla neo-lingua politicamente corretta: la parola “normale” deve essere eliminata perché “discriminatoria”. Anche la parola “sbiancamento” corre rischi non solo nella pubblicità dei detersivi, perché sottintende che bianco sia migliore di nero. Per esempio la Unilever, la catena internazionale che detiene più di 400 prodotti per l’igiene, la casa e la bellezza, nell’ambito di un suo progetto denominato “Positive Beauty” per diffondere “l’uguaglianza di genere” sul benessere del corpo, ha eliminato la parola “normale” dai suoi prodotti. Anche qui le parole sono pregne di contenuti culturali e sono usate come armi ideologiche: la parola “normale” sarebbe “discriminatoria”, anche se fondata statisticamente. Il risultato è che non esisterebbe né fisiologia né patologia, con buona pace per la scienza medica e per le scienze umane, tra cui quelle psicologiche.
Anche il famoso marchio di cosmetici “L’Oréal” ha deciso di rimuovere le parole “bianco”, “sbiancamento” e “chiaro”, dalle confezioni dei prodotti, perché contaminate da pregiudizi razziali. Il Wall Street Journal , seguendo l’esempio dell’Associated Press (Ap) ha vietato ai propri giornalisti di usare l’espressione “immigrato illegale” per non “etichettare le persone”, anche se essi sono tecnicamente e realmente sia immigrati, sia illegali. Il presidente Joe Biden l’ha già vietata nei documenti alla Casa Bianca e i Democratici hanno presentato una legge per bandirla dai documenti federali. Anche qui, dietro la guerra delle parole, c’è la propensione dei liberal americani favorevoli all’immigrazione anche illegale per motivi ideologici.
In conclusione, quella guerra di parole con cui l’establishment politicamente corretto sta da tempo introducendo una neo-lingua di tipo orwelliano. Cos’è una neo-lingua? È una tecnica usata da tutti i regimi rivoluzionari, autoritari e totalitari. Si criminalizzano attribuendo una valutazione negativa – e poi si cancellano – alcune parole cruciali per il vecchio ordine che si vuole distruggere. Si creano parallelamente parole nuove cruciali per l’ordine nuovo, che si vuole instaurare e a cui si attribuisce un valore positivo, esaltandole e rendendole obbligatorie. Si invertono così i valori delle parole: quel che un tempo era bene e buono diventa male e cattivo; e viceversa.
Ma non si tratta solo di una guerra di parole. Dietro le parole aleggiano concetti e soprattutto valutazioni, valori e disvalori, cioè le ideologie. La neo-lingua orwelliana introdotta dal politicamente corretto nasconde una guerra culturale e ideologica mirante a creare un “retto-pensiero” eversivo e funzionale a distruggere il vecchio ordine e ad instaurarne uno nuovo. Attraverso la neo-lingua si introduce un pensiero unico obbligatorio, un codice etico politico ed un “retto-pensiero”, mirante alla distruzione della civiltà cristiana e liberale dell’Occidente. In particolare, oggi esso mira a distruggere dall’interno l’intera civiltà occidentale attraverso la distruzione della famiglia o l’abbassamento delle difese contro l’immigrazione illegale.
Aggiornato il 17 marzo 2021 alle ore 09:03