Beppe Grillo versus Silvio Berlusconi. Luigi Di Maio declamatore di cariche per sé di fronte a un Matteo Salvini prudente nonostante il cartellino di vincente con maggioranza. La politica per dir così personalizzata e dunque marchiata a fuoco dal grillismo urlatore mentre persino Matteo Renzi sembra più tranquillo nel campo delle attese, con un Partito Democratico che pare a volte allo sbando e, dunque, sembrerebbe proprio che sia il renzismo una sorta di zattera della medusa sul mare di una crisi dalle onde alte e lunghe.
Intanto, dall’alto del Colle un Presidente sereno, come dice il nostro direttore Diaconale, preme per il lunedì della verità (quale?) quando i giochi di prestigio pentastellati verranno più crudelmente alla luce, anche se la tipologia dei giocatori non sembra destinata a mutazioni, soprattutto genetiche. È vero, ci si aspetta un altro giro di consultazioni, e poi?
Certo che la lettura dei titoli e degli articoli, non molti per ora, a proposito del cosiddetto “capo politico” Di Maio e delle sue avances presidenziali finite, per il momento ma pensiamo anche per dopo, in una sorta di sosta abusiva, è quanto mai interessante.
Intanto si registrano, da qualche parte, le azzeccate note di una critica che ben raramente si era notata nel corso ormai lungo della crescita di un movimento che ha fatto del populismo e del giustizialismo l’inizio e la fine della propria presenza che staremmo per dire politica, anche se la Polis non può reggersi e regolarsi su questi termini, tanto più se in combutta con demagogia e moralismo d’accatto e, come si dice, pro domo sua. Il fatto è che, a quanto pare, i giochi sono finiti, anche quelli a cui il populismo divenuto forza elettorale del 32 per cento aveva consentito di muoversi con le penne del pavone in attesa del mitico incarico. Altro che incarico.
Giochi e, nel caso di Luigi Di Maio, il giocattolo. Ma, attenzione, da ottenersi persino con gli alleati ma a una condizione: che tolgano di mezzo Silvio Berlusconi. Un programma politico davvero ampio. Si sa, il cosiddetto giocattolo, la meta agognata era (ne parliamo al passato) Palazzo Chigi ma, ovviamente, senza che venissero messe le cosiddette carte in tavola programmatiche che, pure, sono l’indispensabile viatico per un confronto con gli altri. A meno che non si intenda per programma le banalità mediatiche buttate con la nonchalance dei cantastorie a senso unico pronti a cambiare, queste carte, al primo gradino, a seconda dell’audience. Un gioco, appunto, sulle pelle di un Paese che sembra meno propenso, vedi il Friuli-Venezia Giulia, a stare al gioco.
Diciamoci la verità a proposito del cosiddetto partito di lotta e di governo, termine mutuato dai tempi berlingueriani quando si affacciavano a Botteghe Oscure non più e non solo le spinte poderose all’opposizione contro le “forze della reazione in agguato” (Dc, Psi, Psdi, Pri, Pli, capirai!), ma le tentazioni del cosiddetto compromesso storico, cioè un governo-maggioranza con dentro tutti. Adombrato anche nella situazione di oggi, quasi mezzo secolo dopo.
La verità è che il vero, unico, forte, necessario, urgente programma dei grillini erano e sono i vitalizi. Un grande obiettivo! Una meta fondamentale per la crescita del Paese! Intanto, per maggiore tranquillità e più controlli, la Presidenza della Camera è stata guadagnata, non certo istituzionalmente immeritata, ci mancherebbe altro. Il punto, semmai, è che anche un partito, soprattutto se di sola lotta non può e non potrà mai accompagnarsi a provvedimenti assai minori anche se chiamati esemplari ma sempre e comunque settoriali, anzi settorialissimi.
Giochi più o meno di prestigio, e giocattoli ad personam. Come fa notare “Italia Oggi”, rilevando che a Di Maio peggio di così non poteva capitare, basta vedere e ascoltare il suo “videomessaggio rancoroso, acido, iracondo, ma soprattutto tipico del bambino che vuole vendicarsi perché gli hanno rotto il giocattolo”. Quale, lo sanno tutti. E perciò via con le urla contro tutti i partiti (degli altri), contro la diabolica casta, contro l’informazione scorretta e malvagia. E poi? Che si vada al voto subito! Minacciano. Ma la lezione del Friuli-Venezia Giulia suggerirebbe più cautela e meno speranze con parole d’ordine dettate nella certezza di grandi vittorie per dir così anticipate. Quién sabe.
Aggiornato il 07 maggio 2018 alle ore 12:02