L’utilizzo del dollaro per la vendita globale del petrolio è messo in seria discussione da Cina e Arabia Saudita. Il Wall Street Journal riporta che il Paese mediorientale sta prendendo accordi con Pechino riguardo l’utilizzo dello yuan per la vendita del prodotto al posto della valuta statunitense. L’alleanza tra il maggior importatore di petrolio, la Cina e il più grande esportatore, l’Arabia Saudita, avrebbe conseguenze notevoli per il mercato di questo materiale, che da sempre usa il dollaro come moneta ufficiale.
“Le relazioni degli Stati Uniti con i sauditi sono cambiate, la Cina è il più grande importatore mondiale di greggio e sta offrendo molti incentivi redditizi al Regno” ha affermato un funzionario saudita al quotidiano americano, aggiungendo: “La Cina ha offerto tutto ciò che si può immaginare a Riad”.
Un funzionario statunitense ribatte, dicendo che già l’Arabia Saudita aveva provato in passato a lanciare quest’idea, quando i rapporti tra Washington e Riad erano tesi. L’idea del petrol-yuan è “poco probabile”, oltre che “volatile e aggressiva” ha spiegato l’americano. Davide Tabarelli, presidente di Nomisma Energia, ha commentato all’Agi che “l’ipotesi è possibile, ma non sarebbe una rivoluzione, di questi tentativi ne abbiamo visti anche in passato”. Infatti, ha citato le precedenti suggestioni apparse verso la Russia per il pagamento in rubli e verso i sauditi per l’utilizzo della moneta locale. Perfino diverse nazioni europee, prima dell’arrivo della moneta unica, avevano provato a stringere accordi di questo tipo con la nazione esportatrice. Secondo Tabarelli, la Cina sarebbe l’unica potenza globale a poter effettivamente comprare il petrolio con la sua valuta, ma questo di certo non rivoluzionerebbe il mercato globale, e di conseguenza neanche il dominio del dollaro.
Le trattative tra Pechino e Riad vanno avanti dal 2016, ma hanno subito una forte impennata durante quest’anno. Ai sauditi non è piaciuto affatto il comportamento statunitense su due fronti: in primo luogo, la mancanza di aiuti militari nella guerra civile in Yemen, poi hanno contestato il tentativo del presidente Joe Biden di chiudere un accordo con l’Iran sul programma nucleare.
Guardando a Oriente, la Cina compra il 25 per cento del petrolio saudita. Le importazioni di Pechino sono aumentate negli ultimi tre anni, e nel 2021 sono ammontate a 1,76 milioni di barili al giorno. Nel frattempo, gli Usa hanno ridotto ai minimi storici gli acquisti. Negli anni Novanta compravano 2 milioni di barili di greggio al giorno, mentre a oggi non arrivano neanche ai 500mila barili quotidiani. Per la Cina, l’uso dei petrodollari è diventato un rischio, legato alle sanzioni verso l’Iran e la Russia. Per questo, Pechino è andata incontro a Riad, cooperando sul programma nucleare e iniziando a investire nei progetti visionari del principe ereditario Mohammed bin Salman, come la città futuristica Neom. L’unico motivo per cui la vendita del petrolio in yuan sarebbe controproducente è il danneggiamento dell’economia saudita, poiché il riyal, moneta locale, rimane ancorata al dollaro.
“Il mercato petrolifero, e per estensione l’intero mercato globale delle materie prime, è la polizza assicurativa dello status del dollaro come valuta di riserva – ha sostenuto l’economista Gal Luft, co-direttore dell’Istituto per l’analisi della sicurezza globale, con sede a Washington – se quel blocco viene rimosso dal muro, il muro inizierà a crollare”. L’uso dello yuan darebbe ai sauditi maggiore influenza sui cinesi, per provare a convincere Pechino a ridurre il sostegno all’Iran. Infine, proprio perché Stati Uniti e Unione europea hanno bloccato la Banca centrale russa dalla vendita di valute estere dalle sue riserve, l’autore Ali Shihabi ha affermato che il Regno non può ignorare il desiderio della Cina di pagare le importazioni nella sua valuta.
Aggiornato il 16 marzo 2022 alle ore 15:45