“Sabato, Domenica, Lunedì”: lite sul ragù

Si può litigare sul ragù, o su un piatto di pasta condito alla siciliana, fatto da napoletani? Tra farsa, commedia e semidramma, per la regia di Luca Fusco, va in scena al Teatro Argentina di Roma, fino al 4 gennaio 2026, lo spettacolo di Eduardo De Filippo Sabato, Domenica, Lunedì, con una compagnia di attori che fa dell’armonia corale un vero e proprio elemento carismatico. E l’intesa la si vede fin dalla scena di apertura all’alzata del sipario, in cui l’originale, scarna scenografia descritta da Eduardo, è impreziosita sul fondo scena da una sorta di Pantheon semi circolare di colore bianco brillante. Ed è su questa grande parete frontale che si apre una serie di alte finestre con doppia imposta che, con il loro continuo chiudersi-aprirsi, scandiscono il passare del tempo e l’alternarsi delle fasi di buio e di luce, nonché degli umori del marito di Rosa, padrone di casa. Nella scena del primo atto, quella del “sabato”, sulla sinistra campeggia un grande ripiano d’appoggio, che ospita le infinite discussioni e i piccoli diverbi tra domestica e padrona, Virginia (Rossella De Martino) e Rosa Priore (Teresa Saponangelo), in merito alla lunga e laboriosa preparazione del ragù, da servire la domenica seguente alla coppia di condomini ospiti, i coniugi Ianniello, Luigi (Paolo Serra) e sua moglie Elena (Anita Maria Cristina Gionta). Luigi è il prototipo di uomo buono, che si preoccupa per chiunque abbia un tiramento o la luna storta che lo fanno star male, addirittura recuperando in un’apparenza sgradevole un volto antropomorfologicamente interessante, come gli accade incontrando Michele (Domenico Moccia), fratello dismorfico della cameriera Virginia, con il vizio decisamente violento di ridurre a mal partito i poveretti che ne deridono l’apparire.

Elena, moglie di Luigi, è una donna assai perbene, che non fa fatica ad affermare la sua ragione tranquilla, caratteristica di un popolo che ne ha viste di tutti i colori. Luigi, sempre prodigo di complimenti e di pensieri affettuosi per Rosa, della quale sa anticipare e assecondare le piccole passioni femminili, come quella per un pullover di un certo colore, o di alcuni tipi di dolce tradizionale. Atteggiamento premuroso questo suo ma che, immotivatamente, scatena una gelosia incontrollabile e paraomicida nel marito di Rosa, Peppino. Fatto abnorme quest’ultimo, sul quale ruota l’intera rappresentazione che si esalta nella chiusura finale del terzo atto relativo al “lunedì” (post-prandiale e post-umorale), con il quale si conclude emotivamente e felicemente il dramma-farsa edoardiano dell’amore coniugale, coronato dalla capacità e intensità del pentimento di Peppino nei confronti dell’adamantino Luigi. Sulla destra della scena del primo atto, invece, è sistemato un tavolino per la colazione e alcune sedie, di cui una occupata dal padrone di casa, Peppino Priore (Claudio Di Palma), proprietario di un piccolo esercizio di abiti e cappelli per uomo, impegnato nella lettura del giornale. Negozio ereditato dal suocero cappellaio, Antonio Piscopo (Francesco Biscione) padre di Rosa, ormai pensionato, al quale è rimasta la mania incurabile di raddrizzare i cappelli altrui, da non lasciare mai in giro quindi, se non si vuole apparire ridicoli indossandoli poi in pubblico, una volta in strada. Metafora quest’ultima del pupo pirandelliano, per cui alla fine siamo tutti un po’ ridicoli e legni storti.

Il vecchio patriarca è però amatissimo da tutti i suoi congiunti, carico com’è di piccole manie, dato che, soffrendo di una strana claustrofobia, preferisce consumare i pasti sul balcone, pur di uscire dalla sua stanza, trasmigrando in quelle altrui e negli ambienti comuni nel resto del giorno, o uscendo da solo per la passeggiata quotidiana. Antonio è un centro potente e sostanzialmente tranquillo di un’affettività sicura, con la quale si contaminano volentieri fin da piccini i suoi nipoti, con particolare riferimento a Rocco (Gianluca Merolli), che soffre di un evidente complesso di inferiorità nei confronti del padre Peppino, del quale ha ricalcato le orme, aprendo in proprio un suo piccolo esercizio di abbigliamento, ancora in attesa della benedizione paterna che tarda a venire per questa sua iniziativa coraggiosa. Giulianella (Mersila Sokoli) è invece la figlia femmina di Peppino, esuberante e permalosa, affettuosissima verso gli anziani della sua famiglia, padre e nonno, ma assai antipatica, pur amandolo, nei confronti del fidanzato Federico (Alessandro Balletta), grande amico di suo fratello Rocco.

La famiglia allargata è poi completata dalla sorella di Peppino, Amelia Priore, zia Memè, ritratto di donna pratica, ma madre “carnivora”, per aver fatto del figlio Attilio (Renato De Simone), l’unico rimasto in casa, un sorta di minus habens, perché come farebbe una chioccia ossessiva, tende a esaltare egoisticamente l’ipocondria del suo ragazzo. Convincendolo così di malattie immaginarie, che riguardano la sua alimentazione corretta, pur trattandosi di un uomo altrimenti normalissimo, rimasto il figlio bambino di una madre persecutoria. Altra macchietta eduardiana, brutta copia del vero capocomico De Filippo, è il fratello di Peppino, Raffaele Priore (Paolo Cresta), impiegato di banca e appassionato attore amatoriale, che insiste e persiste nel voler rappresentare il suo approssimativo Pulcinella dinnanzi agli sguardi divertiti dei suoi colleghi d’ufficio, obbligando Rosa a lavare e stirare i suoi indumenti di scena. L’entrata e l’uscita dei personaggi avviene attraverso una comune collocata sia sul lato destro che su quello di sinistra. All’inizio dell’apertura di sipario, tutte le finestre del pantheon sono aperte e illuminate, ospitando al loro interno le varie coppie di personaggi. Nel secondo atto, quello della “domenica”, a testimonianza di una perfetta famiglia borghese che si vuole senza scheletri nell’armadio, compare una grande tavola attovagliata, per celebrare tradizionalmente il pranzo rituale della festività, che vede la presenza di tutti i figli della coppia dei Priore, compreso l’ingegner Roberto (Pasquale Aprile), ormai sposato con la sua bella moglie Maria Carolina (Alessandra Pacifico Griffini) e che non vive più in casa.

Il terzo atto, quello del “lunedì” e della falsificazione del melodramma, conserva le atmosfere sopite e bulimiche di cibo e rabbia della domenica precedente, in cui i protagonisti in scena sono i due coniugi Priore che, finalmente, dopo appena quaranta anni, decidono di svelare i loro veri, reciproci sentimenti, troppo taciuti da sempre per pudicizia e mancata sincerità, pur rimanendo saldamente ancorati nel loro fondale immutabile di vero e autentico amore coniugale.

 

(*) Le foto sono di Tommaso Le Pera

Aggiornato il 05 dicembre 2025 alle ore 15:36