Fenomenologia della menzogna
Il corpo non mente. E, tra l’altro, come abbiamo visto in Goffman, il corpo non può mai sottrarsi dal dire qualcosa: non è mai possibile nascondersi dietro al corpo. Lo sanno bene gli analisti delle menzogne mediatiche. E gli analisti della macchina della verità, che scoprono che il toccarsi i capelli, il naso o le orecchie siano segnali inequivocabili di dichiarazioni contrassegnate dalla menzogna.
Per cercare di essere sintetici, perché esiste la menzogna? Da dove inizia la menzogna? Dal desiderio di ottenere dei vantaggi per sé o per altri, ai quali teniamo particolarmente.
La menzogna è un atteggiamento utilitaristico. È qualcosa che si mette in atto per salvaguardare se stessi. In certe situazioni patologiche – lo abbiamo visto con il sistema del “Falso Io” dello schizofrenico – la menzogna è connaturata persino dalla ricerca della sopravvivenza di chi la mette in pratica.
L’argomento può essere anche spostato sul Potere, e sulle élites di potere. L’utilizzo della menzogna si collega – sempre – alla paura di perdere la propria identità, il proprio Potere sull’altro, e si riassume nel tentativo disperato di rimanere ancorati alle poltrone del Potere.
Quando la menzogna diventa smaccata è segno che quel Potere percepisce il pericolo di non poter più essere tale, e utilizza ogni argomento per canalizzare i governati verso convincimenti che non mettano in sicurezza e non possano più mettere in discussione chi detiene il Potere. La menzogna, in ultima analisi, è un segnale di debolezza, perché intende piegare il consenso naturale per convertirlo in una cieca obbedienza.
È il caso della guerra in Ucraina. L’attacco di Putin è stato spiegato come un prodotto della tracotanza del Potere russo, invece che della strenua difesa da parte della Russia di una fascia di sicurezza ai confini con la Nato. Nella guerra in Ucraina la narrativa ufficiale non lascia traccia delle sue origini: dei bombardamenti del Donbass e di piazza Maidan si è infatti smesso di parlare, fin dall’inizio.
Le menzogne sulla guerra insomma si sprecano. La parola data durante gli ultimi venti anni dai politici italiani – tutti – negli incontri ufficiali con Putin ha lo stesso valore della carta straccia. Armare un contendente, secondo le locuzioni usate dal Potere, porterebbe alla pace, e non a prolungare ovviamente il conflitto, come dimostra la Storia.
L’universo Woke odora di falso fin dal suo nome. Che ha a che fare con il risveglio. Nel momento in cui i media raccontano tutti la medesima versione delle cose, cercando di “indottrinare” e non di informare, non si capisce cosa avrebbe a che fare con il risveglio qualcuno che ripete quanto viene assimilato dai media. Semmai risvegliati – come Neo, protagonista del film Matrix – possono essere coloro che guardano dietro ai cinegiornali stile Lux, dietro alla propaganda travestita da notiziari, per scoprire cosa ci sia di vero, e, in particolare, cosa non viene mai detto, come le notizie sugli effetti avversi da vaccino.
Come abbiamo potuto vedere nei precedenti capitoli, la menzogna è stata dunque recentemente scatenata per giustificare l’innaturale offensiva ai corpi-soggetto, alla loro identità, al loro cammino nell’esistenza, alla loro naturale espressione.
A questo punto vorrei fare una affermazione: “Sono italiano, bianco, maschio, eterosessuale e non posso non dirmi cristiano”. L’universo woke in questa osservazione scorge gradi indicibili di violenza. Non sono ironico a scriverlo. Scrivo a testimonianza di quello che vedo accadere in Italia. Secondo qualcuno queste cinque definizioni costituiscono una sequela di offese verso “qualcuno”, neanche ben identificato. Immigrati, neri o gialli, donne, non binari, islamici o hindu, rimarrebbero, secondo alcuni, offesi dalle mie parole semplicemente poste. Eppure, si tratta di cinque elementi imprescindibili, “irrinunciabili” e “innegabili”, che riguardano la mia identità, in quanto corollari del mio corpo. La lingua che la mia voce compone, il colore della mia pelle, i connotati biologici del mio corpo, il possesso di un pene e di testicoli, la mia attrazione per l’universo femminile e le mie relazioni, il mio atteggiamento nei confronti della vita, il mio comportamento nei confronti del prossimo, che si rifanno alla mia educazione cristiana.
Il tentativo di mettere in discussione questi cinque punti è un tentativo che appartiene al mondo della menzogna, esattamente come il corpo, è invece, cristallino, autentico, unico, originale, come si diceva trattando del corpo-soggetto.
Qui non si tratta di far prevalere la corporeità sulla parola perché questa può mentire. Si tratta di ricominciare a dire e a far dire le parole, solo se rappresentano la realtà, la verità, l’autenticità delle cose. La denuncia della menzogna serve a farci riscoprire questa autenticità.
Tra noi e l’autenticità esiste però un ostacolo. La Palude umana, quella che ha appoggiato le folli misure governative durante la pandemia e il gregge, quello che, come un agnello collettivo sacrificale, ha aderito alla campagna di vaccinazione.
Evidentemente, dunque, la massa, il gregge – quantomeno – non sa riconoscere la menzogna. Quantomeno. Poiché probabilmente è ormai contagiata da una schizoidia di massa, nella quale prevale un “Falso Io”.
Dovremmo ricorrere all’epoca dell’espressionismo, delle correnti artistiche e letterarie del’900 per dare un senso a questa massa che si trascina dietro un Corpo come un Falso io, come qualcosa di non autentico.
In particolare, pensiamo a due grandi di quel ‘900: Edvard Munch e Franz Kafka. Il primo affetto da schizofrenia, anche diagnosticata, il secondo da una forma latente depressivo-malinconica, che – secondo alcuni analisti – nascondeva una schizoidia, con scarsa identità fisico-corporea. “La metamorfosi” è proprio il racconto principe di questa metafora. Una identità corporea che finisce con il percepirsi insetto ripugnante, davanti al quale i mediocri parenti si ritraggono imbarazzati e inorriditi.
I due universi artistico-letterari, così come i due drammi che hanno luogo in due paesi della vecchia Europa borghese, sembrano sovrapporsi. Accanto alle figure in primo piano, ai protagonisti delle opere, a chi porta avanti il proprio tragico destino, si possono scorgere, ai margini, figure e figurine mediocri, grette, assenti, non partecipative. Figure, tutte che fanno parte integrante, artisticamente fondamentale, dei dipinti di Munch e dei racconti di Kafka.
Mentre il dramma dei protagonisti riempie la pagina e la tela ˗ mentre “l’urlo” si compie, “il processo” si porta avanti, la sorella di Munch giace in un letto, l’agrimensore si danna e cerca una strada per “il castello” ˗ attorno ad essi pullula un mediocre universo, fatto di spettatori neutrali, di signori con il lungo cappello, di dame che passeggiano per le strade di Vienna e di Oslo, di comprimari in livrea, corpi che non prendono mai posizione, che si comportano da ignavi, che sono completamente indifferenti a quegli stessi drammi, così vissuti, così eclatanti.
Queste figure kafkiane e munchiane assomigliano agli indifferenti che non soccorrono chi in strada viene aggredito, che procedono dritte, conformandosi agli obblighi richiesti dall’autorità, qualora un ribelle cerchi di sottrarsi alle limitazioni della mobilità durante il coprifuoco. Anzi, sono pronte a caricare di insulti, a censurare le altrui condotte, forti della loro invisibile, vuota e insulsa irreprensibilità davanti alla legge, che invece suona essa stessa vuota e insulsa al buonsenso dell’uomo della strada.
Il gregge è falso, insomma. Non ragiona con la propria testa. Non partecipa mai ai drammi. Ascolta i ripetitori del regime e funge anch’esso da cassa di risonanza. Il gregge è davvero composto da quei corpi-oggetto di cui il Potere ha bisogno, del quale una burocrazia “kafkiana”, incorporea, inefficiente e irresponsabile, ha bisogno.
È quella stessa umanità dilaniata, impaurita, annientata che durante il nazismo non insorse contro la persecuzione degli ebrei. O tutti i silenti contro le leggi razziali del fascismo. Sono figure infime, anche appartenenti alla razza ebraica, figure incarnate in kapò e delatori, collaborazionisti.
La paura paralizza le funzioni del corpo-soggetto. Il terrore di infrangere la legge, di essere scoperti, di risultare inadempienti davanti al Potere costituito.
Scrive Hannah Arendt: “Il suddito ideale del regime totalitario non è il nazista convinto o il comunista convinto ma l’individuo per il quale la distinzione fra realtà e finzione, fra vero e falso non esiste più”.
(*) Leggi i capitoli precedenti: 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 13, 14, 15, 16, 17, 18
Aggiornato il 08 febbraio 2024 alle ore 12:46