La vita vivente e la pulsione di morte per Freud e Reich
In questo passaggio d’epoca, con l’inasprirsi della guerra in Ucraina, e il suo continuo espandersi fino a prefigurare una guerra mondiale, il nostro rapporto con la Morte si modifica radicalmente. Nel momento in cui l’esperienza del morire non è più confinata in un altrove o in un poi indistinti, viene alla luce con evidenza come gli uomini siano esseri perennemente in conflitto, e come abbiano corpi e menti dilaniate, condizioni prossime ad epoche che sembravano passate. In altre parole gli individui sono tutt’altro che unità psico-fisiche: dentro e fuori loro stessi, combattono battaglie e vivono conflitti crescenti, sono in guerra anche senza andare al fronte. È la condizione delle epoche di crisi. Da ritrarre è, dunque, anche una guerra interiore tra parti di Sé, che si combattono, e una serie di guerre esteriori fatte, da sempre, con l’altro-da-Sé, conflitti che si concretizzano in sentimenti contrastanti, rabbie, odi, rancori, invidie, fastidi, accesi scontri, messaggi sprezzanti.
Due fazioni, dunque, si combattono e confliggono anche nella psiche che nel corpo sta, quella mente che può ritrovarsi riprodotta – in minimi e in nuce – entro ogni nostra cellula. La pandemia aveva già riacceso il terrore sanitario. Gli effetti avversi e i malori colpiscono molto duramente. La paura della morte, perché oramai non più distante, ma prossima a tutti noi, ha contrassegnato gli ultimi tre anni. Si tratta in definitiva di quella battaglia tra la Vita e la Morte, che stanno nella stessa stanza dell’esistenza.
La morte del corpo, quando non è improvvisa e violenta, inizia molto prima di quel momento, poiché si avvia con il sopraggiungere della malattia e dei suoi sintomi.
Il tedesco, la lingua della filosofia, ha due modi per intendere il corpo. Da una parte c’è il Leib, o corpo esperienziale, vissuto: il corpo-soggetto. Dall’altra c’è il Körper, corpo-oggetto, strumentale, reificato, che è per l’appunto il corpo del cadavere. Leib, il corpo della vita, e il Körper, il corpo della Morte, dunque, da sempre sono in un conflitto dentro di noi. Questo conflitto emerge con forza, nel momento in cui una malattia minaccia la nostra esistenza.
C’è dunque un corpo vissuto che ha come fine la vita, e un corpo-oggetto che ha come fine la morte del soggetto. La percezione di essere corpo-soggetto, si alterna così a quella di avere-un-corpo-oggetto, a seconda del nostro stare bene o male, del percepire i sintomi della malattia o di sentire un ritorno alla percezione normale dell’essere-corpo, libero di vivere la propria esistenza, senza limiti. È così che per estensione, Leib ha come principi guida la libertà, l’illimitatezza o assenza di costrizioni, l’infinità, l’espansione, mentre Körper, ha il limite e il senso del limite, il controllo, la contrazione, la finitezza. Il Körper è sicuramente un involucro che può anche diventare una prigione per le proprie aspirazioni, spirituali e materiali.
Sul punto di morire, la medicina insegna, il corpo-soggetto, il Leib, si abbandona alla morte, si lascia andare da un abbraccio oggettuale, dalla reificazione del Körper.
Per chiarire questo conflitto, si può fare un utile ricorso agli albori della psicanalisi per mettere in luce come Wilhelm Reich – allievo di Freud, poi divenuto voce eretica del movimento – sia stato il primo ad affermare che l’Io, inteso come struttura caratteriale degli uomini, è il Corpo. Criticando alcuni punti dell’assetto psicoanalitico freudiano, Reich, oltre a porre l’accento sul Corpo e la corporeità, rispetto al mentale, all’Ego, all’Io e l’Es, non accettò mai l’associazione Eros e Thanatos (pulsione di morte) descritta nel celebre volume di Freud "Al di la del principio di piacere".
La base clinica su cui Freud basava la sua teoria di pulsione di morte partiva dal fatto che parecchi pazienti, attraverso la tecnica dell’interpretazione, non progredivano, ovvero la ottenuta consapevolezza di quel che li affliggeva non era sufficiente a liberarli dal male.
Questa osservazione portò Freud a supporre che esistesse un senso di colpa inconscio, l’angoscia di Morte, un “bisogno di punizione” (un masochismo primario) innato – inscritto filogeneticamente – che costringe il paziente a perseverare nella nevrosi. In alte parole si trattava di una coazione a ripetere schemi di comportamento che non riuscivano ad essere liberatori e a non far scegliere loro la ricerca del piacere, e dunque il benessere psichico. E la pulsione di morte sembrò essere per Freud una funzione invalicabile della psiche, al punto da far teorizzare a suo padre l’interminabilità del percorso psicanalitico.
Reich, d’altro canto, considerò l’angoscia di Morte superabile. Convinto che la dinamica dell’effetto analitico non dipenda dai contenuti che il paziente produce nell’analisi, ma dalle resistenze caratteriali e corporee che egli contrappone allo sforzo compiuto per progredire, e alla intensità emotiva del loro superamento, per Reich, il Corpo e il suo funzionamento divengono le principali fonti della sua osservazione analitica. Questa resistenza ha infatti inciso nel corpo, attraverso le esperienze del soggetto, dei veri e propri caratteri che, insieme, incistandosi, hanno costruito una vera e propria corazza fisica, muscolare ed energetica, che costringe l’Io corporeo e non riesce a connetterlo al Sé immateriale, al Sé spirituale. La corazza caratteriale, connessa al sostrato emotivo, che costituisce l’adattamento della persona alla Vita e al Mondo, va dunque sciolta lentamente per poter ritrovare il proprio naturale essere-corpo, un Io che finalmente lasci fluire il proprio Sé consapevole.
“L’analisi del carattere” di Reich – e gli sviluppi a cui ha lavorato Alexander Lowen, con la bioenergetica – è così divenuto un manuale fondamentale per ogni tipo di terapia psicanalitica. Il carattere inciso nel corpo è dunque lo “stato” iniziale di un paziente che intraprenda un percorso di guarigione. La guarigione per Reich consiste nel riconsegnare al Corpo-soggetto una Vita vivente.
Il contrasto, si diceva, avviene così tra chi vede prevalere in sé il sentirsi-Lieben (un corpo vivo e vissuto) che pretende di essere lasciato libero, e chi, soprattutto, sente di avere-un-Körper (corpo fisico ma anche salma o cadavere), corpo che va monitorato, controllato e che va sottomesso all’esercizio del potere, il proprio o quello dell’autorità: un corpo che è capace di infliggersi punizioni severe, che è pronto alla sottomissione, che, non percependosi libero di librarsi in volo, accetta e quindi propende ad essere castrato, mutilato, impedito nella sua vitalità.
In questa seconda percezione prevale dunque il “voler controllare” il corpo, sotto l’influsso del timore, della paura, lo si vuole mettere sotto il comando delle proprie idee, dei propri scopi, lo si vuole indirizzare verso specifiche attività, pianificate, strutturate, programmate e non lo si lascia libero di galoppare come un cavallo selvaggio, cercando tutt’al più di governarlo con delle briglie, delle regole.
Pertanto, nel momento in cui ci caliamo con uno sguardo fenomenologico nella società e in noi stessi, queste due fazioni riproducono due forze, che ognuno è più o meno consapevole di portare in sé, forze la cui prevalenza – e non esclusività – in noi fa abbracciare un campo o l’altro, e comporta scelte, attività, opinioni e frequentazioni.
Aggiornato il 23 giugno 2023 alle ore 13:12