Ritratti. Quei campetti chiusi a chiave

Ogni luogo era buono: un parco, una strada, un terreno anche intriso di sassi e buche. Con un pallone e un pizzico di fantasia era possibile volare ovunque, dal Santiago Bernabeu all’Old Trafford. C’era la voglia di andare oltre. C’era la creatività. Quella creatività che, adesso, è assente. Oppure è assunta in piccole dosi.

Un discorso, questo, affrontato da Dino Zoff in un’intervista al Corriere della Sera dell’anno scorso. L’ex numero uno di Udinese, Mantova, Napoli e Juventus, campione del mondo con la Nazionale italiana di calcio nel 1982, spiega a chiare lettere: “Manca l’oratorio. Oggi i campetti mi sembrano tutti chiusi a chiave. Per entrarci devi pagare. E quando paghi poi le cose cambiano, salta la legge del campo dove il più forte vince. E dove tutti migliorano. Al campetto siamo cresciuti tutti, magari con un parroco che ti levava il pallone se non andavi a messa”.

Sempre Zoff: “Non sono un nostalgico, non lo sono mai stato, credo che ognuno sia figlio della propria epoca. E per fortuna, aggiungo. Non è vero che una volta tutto era meglio, non scherziamo. Però ci sono alcune cose che andrebbero tenute in maggiore considerazione, come l’educazione alla creatività dei piccoli calciatori”.

Non solo: “Devono essere liberi di giocare, devono sentirsi liberi. Senza genitori che pretendono di avere figli campioni a dodici anni, facendo in realtà solo loro del male. All’oratorio si cresceva imparando che nulla nella vita è dovuto: se uno è più bravo, vincerà. E allora tu per essere bravo uguale devi correre di più, imparare, crescere. Perché nessuno lo farà per te. Il campetto insegna la vita”.

Amen.

Aggiornato il 22 settembre 2023 alle ore 19:16