Così risolviamo il mostro del sovraffollamento

Un giorno sì e l’altro pure un detenuto “decide” senza alcuna possibilità di decidere di togliersi la vita. Accade senza fare rumore, accade e basta, nessuno ha mai responsabilità, mai nessuna colpa, tanto meno accusa ferite o escoriazioni sulla propria coscienza. È tutto talmente irrisorio e calpestato dalle indifferenze di una società resa monca di ruggiti dignitosi, ma necessari, di fronte a questa mattanza relegata violentemente in sordina, che neppure ci si accorge che una donna, una detenuta, una persona al femminile, senza la costrizione della sopravvivenza in spazi ridotti o addirittura inesistenti, si garrota senza più vedere o sentire niente a un palmo dal proprio naso.

Senza che nessuno s’accorga di questa ennesima evasione con i piedi in avanti. Una donna detenuta s’arrende alla propria condizione di corpo morto, una imputata per niente sotto il carico di una condanna a fine pena mai, o seppellita da decenni di carcerazione da scontare. Ebbene sì, una detenuta ormai a pochi metri se non centimetri dall’ultimo portone blindato che la separa dalla libertà.

Questa donna che non c’è più sarebbe uscita dal carcere in agosto, avrebbe terminato di pagare il proprio debito con la collettività tra meno di un mese. Invece l’incidente, perché così lo chiama furbescamente qualcuno, un incidente, un mero evento critico, omettendo di dire moltiplicato all’infinito. Sebbene esperti dell’umano mare sommerso, e tecnici del diritto penitenziario tramortito, dovrebbero sentirsi interrogati ferocemente per questa morte così vicina dal ritornare in seno alla società. Domande che dovrebbero inchiodare le tante anime candide sulla funzione della pena, sullo scopo e utilità della stessa. Interrogativi che, implacabilmente, coinvolgono volenti o non volenti l’intera società. Anche coloro che si sentono intoccabili, incensurati a vita, che non avranno mai a che fare con la galera, con il reato. La società civile, le reti di sostegno sociale, quegli assenteisti al dovere civico di reintegrare chi ha terminato di scontare una pena. Ma non c’è da preoccuparsi. Come sempre ce la caveremo con la solita frase a effetto: “Queste morti sono indegne di un Paese civile”.

E avanti il prossimo.

Aggiornato il 14 luglio 2023 alle ore 18:32