Di Giovine quest’Italia – senza scomodare Giuseppe Mazzini – ha poco e nulla. Basta fare un giro tra le apparecchiature di diagnostica per immagini presenti nel Paese. Di queste, quasi 37mila non risulterebbero più in linea con l’attuale livello di innovazione. Tra le più vecchie di 10 anni, troviamo il 92 per cento dei mammografi convenzionali, il 96 per cento delle tac (meno di 16 slice), il 91 per cento “dei sistemi radiografici fissi convenzionali”, l’80,8 per cento delle “unità mobili radiografiche convenzionali”, il 30,5 per cento delle risonanze magnetiche chiuse (1-1,5 tesla)”.
Un’immagine impietosa, sulle tecnologie di diagnostica per immagini in forza alle strutture sanitarie pubbliche e private, che è stata scattata dall’Osservatorio parco installato (Opi) di Confindustria dispositivi medici in collaborazione con Sirm (Società italiana di Radiologia medica e interventistica) e Aiic (Associazione italiana ingegneri clinici). I dati, relativi al 2021, hanno passato in rassegna le varie tipologie tecnologiche con tanto di specifiche, quali “l’età del parco installato” e “la classificazione per fasce d’età”, oltre “ad approfondimenti di raffronto tra lo stato dell’arte della tecnologia esistente e le caratteristiche del parco installato”.
Secondo Aniello Aliberti, presidente Elettromedicali & Servizi ontegrati di Confindustria dispositivi medici “nel corso degli anni il parco istallato ha certamente risentito di una serie di fattori come la limitatezza degli investimenti e dei finanziamenti dedicati alla sanità; l’assenza di attenzione all’innovazione nelle politiche pubbliche di acquisto; il permanere di livelli e logiche di rimborso delle prestazioni non incentivanti l’ammodernamento tecnologico. Questi fattori – ha fatto sapere – hanno contribuito al permanere di un quadro di significativa vetustà delle apparecchiature di diagnostica per immagini. Ci auguriamo che questo studio sia utile per arrivare a definire programmazioni sostenibili e aperte all’innovazione. Inoltre, può essere un utile riferimento per individuare le tecnologie su cui è prioritario intervenire con gli investimenti previsti dal Pnrr e per valutarne poi gli effetti”.
A seguire, ha detto la sua Antonio Orlacchio della Sirm: “Il Pnrr ha previsto l’ammodernamento del parco tecnologico con la sostituzione di 3.133 apparecchiature installate da oltre cinque anni. Le risorse del Pnrr – ha sottolineato – non appaiono, però, completamente sufficienti a sopperire alle criticità emerse dallo studio di Confindustria dispositivi medici e si prevede serviranno altre risorse per mettere il sistema sanitario e i radiologi in condizione di operare al meglio. Tuttavia, investire nelle sole apparecchiature non è sufficiente. C’è bisogno di un adeguato reclutamento e valorizzazione economica dei radiologi, del personale tecnico e infermieristico per assicurare il più efficace e completo funzionamento delle apparecchiature, per cui è necessario prevedere investimenti anche in tale ambito altrimenti si corre il rischio di sottoutilizzare le apparecchiature di imaging. Lo studio Opi – è stato specificato – potrà offrire spunti utili per individuare soluzioni che consentano di razionalizzare le risorse e prevedere il costante aggiornamento del parco tecnologico. Inoltre, una puntuale e continua sorveglianza dello stato di reale funzionalità delle apparecchiature, affiancato da un programma di aggiornamento e di sostituzione periodica delle attrezzature inidonee, possono garantire la sostenibilità e la migliore funzionalità del sistema sanitario. Sirm – ha notato Orlacchio – sta producendo uno sforzo epocale su questo fronte, mettendo a disposizione le proprie competenze e articolazioni organizzative più periferiche, per giungere a un traguardo condiviso con le istituzioni e i partner industriali”.
Infine, Giovanni Guizzetti di Aiic ha puntualizzato: “La disponibilità di dati completi sulle grandi apparecchiature diagnostiche ci permetterà, alla fine del 2024, di valutare l’impatto della Mission 6 del Pnrr, che prevede la sostituzione di 2.200 grandi apparecchiature (più 900 ecografi). Rimangono aperte due questioni fondamentali: l’obsolescenza di un’apparecchiatura comporta automaticamente la necessità di una sua sostituzione? E quando un’apparecchiatura può essere definita obsoleta? È evidente, infatti, che un piano di sostituzione basato solo sull’età anagrafica dell’apparecchiatura, senza prevedere quale uso se ne faccia, in termini di quali e quante prestazioni, sia a forte rischio di inappropriatezza. L’obiettivo che ci dobbiamo porre – ha concluso – è di arrivare a una condivisione, tra aziende produttrici/distributrici, utilizzatori ed esperti di tecnologia, di criteri che individuino quale complessità tecnologica sia davvero necessaria per produrre una determinata prestazione e quante prestazioni rendano appropriata la disponibilità di una grande apparecchiatura”.
Aggiornato il 21 febbraio 2023 alle ore 14:01