La frettolosa (ed irragionevole) attuazione della riforma Cartabia

La riforma Cartabia rischia di passare alla storia per la paralisi epocale della giustizia penale, aggravata anche dalla fretta con cui irragionevolmente vengono introdotte modifiche procedurali cruciali. Il 2 novembre, data dell’operatività concreta della nuova disciplina, corre il rischio di celebrare il de profundis di molti uffici giudiziari. Un’eredità da non accettare per il nuovo Esecutivo.

Il primo di novembre entra in vigore buona parte delle disposizioni attuative della “riforma Cartabia” in tema di processo penale, contenute nel decreto legislativo numero 150 del 10 ottobre 2022, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 17 ottobre scorso.

Al di là delle questioni di merito poste da molte delle disposizioni introdotte, che ridisegnano l’intero sistema processuale con l’obiettivo, non sempre coerente con le nuove disposizioni di ridurre i tempi della giustizia penale, si impongono, con drammatica urgenza, interrogativi riguardanti i tempi di attuazione del nuovo assetto.

Ed infatti, accanto a talune parti per le quali viene previsto un regime transitorio, il primo dato che balza evidente agli occhi dell’interprete – e soprattutto di chi è chiamato ad applicare la riforma adottando le opportune misure organizzative – è l’immediata entrata in vigore, senza alcuna previsione in tema di diritto intertemporale, di tutte le disposizioni che modificano, significativamente, aspetti importanti della fase delle indagini preliminari.

È del tutto evidente che tali modifiche, intervenendo sui procedimenti in corso, pongono seri problemi interpretativi, dal momento che si tratta di stabilire se il principio tempus regit actum, che è la regola generale per le norme processuali, debba avere un’applicazione generalizzata ed incondizionata, oppure se debba comunque prestarsi ad un’applicazione che ne temperi la forza travolgente sulla base del principio di conservazione degli atti.

Al fine di comprendere la portata assai concreta della questione, basti riflettere, esemplificativamente, sul fatto che:

1) sono stati modificati i termini delle indagini preliminari;

2) alla scadenza dei termini delle indagini preliminari, il pubblico ministero ha un ulteriore termine per assumere le proprie determinazioni, trascorso il quale ha l’obbligo di depositare gli atti, con facoltà delle parti di esaminarli ed estrarne copia;

3) il pubblico ministero è tenuto a comunicare alla Procura Generale, ai fini dell’esercizio eventuale dei poteri di avocazione, mediante elenchi settimanali, tre tipologie di procedimenti, variamente articolati, a seconda del termine non osservato dallo stesso pubblico ministero;

4) la persona sottoposta alle indagini può chiedere al giudice di accertare la tempestività dell’iscrizione nel registro delle notizie di reato, con richiesta di retrodatazione che, se accolta, viene disposta dallo stesso giudice ed eseguita dal pubblico ministero.

In primo luogo, val la pena porre in evidenza le difficoltà di ordine tecnico che rendono di difficile, se non impossibile, praticabilità l’immediata attuazione di siffatte disposizioni. Ed infatti, gli attuali applicativi informatici non consentono l’estrazione automatizzata dei dati che ciascun ufficio di Procura dovrebbe trasmettere – ogni settimana! – alla Procura Generale presso la Corte di Appello; né il Sistema informativo della cognizione penale (il cosiddetto “S.i.c.p.”) consente la retrodatazione dell’iscrizione delle notizie di reato.

Per ovviare a tali inconvenienti, di carattere strutturale e non contingente, occorre che ciascun ufficio proceda ad una ricognizione manuale di tutti i procedimenti pendenti nella fase delle indagini preliminari; con la conseguenza di riversare sul –già oberato ed esiguo – personale amministrativo quel che gli uffici ministeriali si sono ben guardati dal fare, impegnati solo nel dare per attuata, sulla carta, la riforma del processo penale in linea con gli obiettivi del Pnrr.

Pare che la ricetta della improcedibilità, escogitata per porre comunque un termine, purchessia, al processo, si sia riversata sulla fase delle indagini preliminari, semplicemente paralizzandola.

Accanto a tali difficoltà di ordine tecnico, vanno poi considerate quelle di carattere interpretativo, che sembrano dividere coloro che sono chiamati ad applicarle le norme, vale a dire pubblici ministeri e giudici.

Vi è, infatti, chi ritiene che tutte le disposizioni che incidono sul procedimento debbano trovare immediata applicazione, in ciò fondandosi sul fatto che il legislatore ha previsto esplicitamente le norme oggetto di abrogazione e quelle interessate da uno specifico regime transitorio.

Vi è, però, anche chi, altrettanto fondatamente, considera irragionevole una applicazione immediata, dal momento che si tratta di intervenire sul procedimento che, essendo una concatenazione di atti, non può tollerare modifiche in corsa. Si tratta, in buona sostanza, di prendere atto che vi sono atti cosiddetti permanenti, i quali, avendo prodotto già gli effetti, si sottrarrebbero, per propria natura, ad essere interessati dalle modifiche, pena voler rimettere indietro le lancette dell’orologio della procedura. L’esito di tale orientamento esegetico è quello di ritenere applicabili le modifiche procedimentali solo ai procedimenti iscritti successivamente all’entrata in vigore del decreto legislativo.

Gli effetti di tale divaricazione interpretativa, oltre che incidere sensibilmente – e talora drammaticamente – sugli assetti organizzativi degli uffici, vanno a toccare anche i diritti delle parti, essendovi il rischio, più che concreto, di interpretazioni variegate e, dunque, di tutele a geografia variabile.

Quel che desta perplessità, in definitiva, è la scelta compiuta dal legislatore di non prevedere espressamente, come è stato fatto, ad esempio in materia di nuova disciplina delle intercettazioni, l’applicazione del nuovo regime ai procedimenti iscritti a partire da una certa data.

La fretta è stata ancora una volta cattiva consigliera e la data del 2 novembre, che segna la concreta operatività della riforma, sembra accompagnare con un de profundis, le intenzioni di accelerare i tempi della giustizia penale.

L’auspicio è che il nuovo Esecutivo possa trovare il tempo di porre rimedio, con urgenza, ad una irragionevole sacrificio del buon senso e di quel che resta della Giustizia.

(*) Tratto dal Centro Studi Rosario Livatino

Aggiornato il 31 ottobre 2022 alle ore 11:48