Il 27 gennaio, dal 2000, in Italia, è meglio noto come il Giorno della Memoria, in ricordo dello sterminio e delle persecuzioni del popolo ebraico e dei deportati militari e politici italiani nei campi nazisti. Successivamente, è diventata una ricorrenza internazionale, per commemorare le vittime dell’Olocausto. È stato così designato dalla risoluzione 60/7 dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite del 1º novembre 2005 durante la 42ª riunione plenaria.
Dovrebbe essere quindi una questione pacifica e comune sostanzialmente a livello planetario, eppure in questa ottantesima ricorrenza del Giorno della Memoria, molto, troppo stride nelle cronache che abbiamo potuto leggere e a quanto si è potuto assistere.
Mentre ad Auschwitz sono convenuti molti governanti, capi di Stato, re e regine, il primo ministro israeliano non ha potuto partecipare dato il mandato di arresto internazionale spiccato nei suoi confronti da parte della Corte penale Internazionale, per presunti crimini commessi tra il 7 ottobre 2023 e il 20 maggio 2024.
Nella bocca dei nostri radical chic, intellettuali e giornalisti mainstream, ha risuonato come una grancassa la parola genocidio nei riguardi dei palestinesi, e ha più volte raccontato della sofferenza dei bambini palestinesi.
Però in questo ennesimo 27 gennaio, le foto dei bambini ebrei deportati nei lager e quelle dei bambini palestinesi, non possono consentire una immediata comparazione. Le immagini sono troppo eloquenti per anche solo provarci. Sarebbe una mistificazione intellettuale che non faremo mai. Non cadiamo in questa trappolina intellettuale di taluni filopalestinesi, antisemiti di bassa lega.
Non fu la stessa cosa, non fu lo stesso trattamento, non sono uguali le sofferenze dei bambini ebrei deportati e quelle dei bambini palestinesi.
E fanno quindi ancora più male, e stridono, più che risuonare, le parole di Moni Ovadia che, a quanto pare, ha dimenticato il dolore sofferto dagli ebrei dell’Europa dell’Est da cui lui ha sempre sostenuto di provenire, e dalle colonne del Corriere della Sera tuona che: “Il Giorno della Memoria ha fallito. Non ha senso ricordare la Shoah se non si lotta contro ogni forma di oppressione”.
No, caro Ovadia, non è come tenti di raccontarla tu, il Giorno della Memoria potrebbe fallire qualora si avverasse invece quello che dice la senatrice a vita Liliana Segre: “Sono sicura dentro di me che una volta spariti, e ormai manca poco, gli ultimissimi superstiti e quando sarà finita la generazione dei figli e forse dei nipoti dei superstiti la Shoah sarà ridotta a una frase nei libri di storia”. Questo il monito della senatrice, a cui il presidente Mattarella, nel nominarla senatrice a vita, ha assegnato l’arduo compito ufficiale di rappresentare una sofferenza di cui presto ci si potrebbe dimenticare, grazie anche ai cattivi maestri, che purtroppo non perdono occasione per attirare l’attenzione sui loro pensieri, quando il silenzio sarebbe la miglior dichiarazione da fare.
E lascia l’amaro in bocca, leggere o ascoltare alcuni appartenenti (più o meno dichiarati) all’intellighenzia di sinistra, difendere il Giorno della Memoria, quando fino al giorno prima hanno sostenuto la causa palestinese. Non hanno detto nulla dinanzi alle scioccanti immagini del rilascio degli ostaggi israeliani. Per le femministe le immagini di Arbel Yehud tra la folla poco dopo il rilascio sono del tutto normali, giusto sia stata trattata come tutto il mondo ha potuto vedere.
Ebbene, no, non è normale, noi non vogliamo essere gli uguali più uguali, e siamo perfettamente in grado di capire, la differenza delle immagini dei bambini ebrei perseguitati e quelle dei palestinesi, che non sono finiti nei forni o nelle camere a gas come i bambini con i pigiami a righe. E per onorare le parole di Liliana Segre, o dei tanti altri superstiti che hanno raccontato o scritto dell’orrore che hanno vissuto, continueremo a non accettare criticamente quello che un certo mainstream cerca di farci passare come normalità.
Caro Ministro Valditara, ascolti il suggerimento di Liliana Segre, ed inviti gli studenti di ogni ordine e grado a leggere Orwell, anzi ci faccia magari preparare una delle tracce della maturità, per non dimenticare il passato, ma soprattutto per affrontare meglio il presente e preparare un futuro migliore di quello che ci vogliono propinare certuni.
(*) Leggi il Taccuino liberale #1, #2, #3, #4, #5, #6, #7, #8, #9, #10, #11, #12, #13, #14, #15, #16, #17, #18, #19, #20, #21, #22, #23, #24
Aggiornato il 31 gennaio 2025 alle ore 13:07