La triste farsa di Roma Capitale

L’ex ministro Linda Lanzillotta, in un suo articolo pubblicato sul quotidiano “La Repubblica”, precisava che occorre rivedere i poteri di “Roma Capitale”; non devo ricordare io all’ex ministro che la mancata attuazione della norma trovava – e trova – motivazione nel contrasto tra la Regione Lazio e il Comune di Roma. Un contrasto legato, essenzialmente, sia nella prima edizione del provvedimento che nell’ultimo. I poteri esistono ma, come accade per i Decreti attuativi delle leggi dello Stato, terminano la loro funzione solo “esistendo” e non diventando mai operativi.

Questo non facile confronto, o meglio questo non facile scontro, penso riemerga sempre di fronte a qualsiasi soluzione si intenda intraprendere e, cosa davvero paradossale, ogni soluzione rimane solo un fatto formale, una apprezzabile notizia. E questa penosa stasi è stata sistematicamente sospesa solo con annunci da parte degli organi del Governo. Infatti, tutti i vari Esecutivi che si sono succeduti hanno sempre annunciato, con grande entusiasmo, “Roma Capitale è parte integrante della Costituzione”.

Di fronte a questo prolungato stallo e a questa naturale, inequivocabile, impossibilità a varare davvero una norma su Roma Capitale e ad attuarla, occorre a mio avviso fare un atto di umiltà e iniziare un percorso nuovo nella definizione della norma e nella sua articolazione strutturale.

Come primo atto evitare, per motivi di speditezza e di identificazione fisica, di uguagliare i confini della attuale Provincia di Roma con quelli di “Roma Capitale”. Lo so, si rende facile un primo passaggio ma al tempo stesso si deforma il vero senso, le vere finalità della norma che si vuole eleggere a ruolo di norma costituzionale. E allora, ripeto, dovremmo avere il coraggio di compiere un atto di umiltà e dovremmo leggere e approfondire quanto previsto dalla legge 1150/1942. Sì, dalla legge urbanistica relativa allo strumento del Piano territoriale di coordinamento (Ptc). In particolare, dovremmo approfondire l’articolo 20 del Testo unico degli enti locali (decreto legislativo 267/2000) che detta disposizioni riguardanti proprio i Ptc. In particolare, il comma 2 sancisce che “la provincia Predispone ed adotta il piano territoriale di coordinamento”.

Il contenuto di un Ptc si suddivide nei seguenti settori di analisi e progettazione destinati a diventare progetti grafici completi di norme regolamentari:

le zone di lavoro e di produzione (il Ptc programma le condizioni urbanistiche più favorevoli per gli insediamenti agricoli, industriali, commerciali, turistici);

– gli insediamenti urbani e rurali (le residenze devono essere distribuite in relazione ai centri di lavoro e di produzione);

le zone paesaggistiche e le attrezzature per lo svago e il riposo (lo scopo è quello di migliorare la qualità dell’ambiente in cui l’uomo vive e lavora);

i servizi e le attrezzature sociali (strutture sanitarie e scolastiche, parchi urbani e territoriali);

la rete delle comunicazioni e dei trasporti.

Quindi, nel rispetto di tali norme, sarebbe opportuno redigere quale possa essere il riferimento territoriale più coerente con ciò che per una serie di fattori socio-economici caratterizza l’ambito territoriale di “Roma Capitale”.

Questo lavoro, o meglio, questo approccio chiarirebbe in modo oggettivo se:

– Roma Capitale rientri integralmente nei confini del Comune di Roma;

Roma Capitale rientri integralmente nei confini della Provincia di Roma.

Roma Capitale ha una sua connotazione territoriale nuova.

Questo approccio lungo e sicuramente non facile ci porta, però, a una chiara identificazione territoriale su cui, è bene chiarirlo una volta per tutte, prendono corpo delle vere autonomie, dei veri poteri, anche quelli legati alla Sanità. È come se creassimo un’altra Regione? In un certo senso sì. Forse, è come se creassimo nella Regione Lazio qualcosa di simile alle provincie autonome di Trento e di Bolzano. Questo dibattito, sicuramente, coinvolgerà le personalità più esperte di Diritto costituzionale ma penso sia evidente che è davvero anomalo che la Capitale d’Italia, carica di tante funzioni e di tante competenze nazionali e internazionali, sia al momento gestita con la falsa logica di “Area metropolitana”. Falsa per due motivi:

perché solo per annullare approcci più analitici e corretti fa coincidere l’ambito territoriale con quello della Provincia;

perché priva di una motivazione che ne giustifichi la gestione finanziaria e la autonomia decisionale.

Ma se cambiamo davvero le funzioni e l’autonomia gestionale di Roma Capitale e ne isoliamo anche il ruolo di alcuni Comuni che ne fanno parte, va rivista anche la procedura democratica con cui eleggiamo il sindaco e i consiglieri? Insisto, anche se un simile interrogativo imponga approfondimenti sempre di tipo costituzionale, ma ritengo che sarebbe opportuno ridisegnare integralmente l’ambito territoriale eletto al ruolo di “Roma Capitale”.

Ebbene, fin quando non daremo vita a un confronto organico nelle sedi istituzionali competenti, cioè il Parlamento, la Regione, la Provincia e i Comuni direttamente e indirettamente interessati, fin quando non si chiariranno le tematiche legate ai confini reali di ciò che definiamo Capitale, non avrà mai senso ipotizzare le competenze, i poteri, i ruoli.

Mi nasce un dubbio: non si dà attuazione a un simile confronto e chiarimento perché si preferisce, e questo da parte di tutti gli schieramenti politici, mantenere Roma come una città ricca di tante funzioni, di tante incombenze ed emergenze, ma con una definizione solo formale di “Capitale”. La stessa definizione del 3 febbraio del 1871.

(*) Tratto dalle Stanze di Ercole

Aggiornato il 14 dicembre 2022 alle ore 11:05