Politica, tecnologia e progresso: chi non lotta, non vive

Quale Patria e quale valore ci è dato servire in quest’inizio d’anni Venti nel nuovo secolo? Quale riflesso irredento, nelle nostre civiche speranze demo-liberali, può elevarsi a rinnovamento ideologico? Quale carisma manca, alla polis nazionale, per palpare e promuovere uno spirito d’italianità aperta e dinamica, nuova?

Il momento attuale è caratterizzato da tanti soldi che arrivano dall’Unione europea, la stessa che ha contribuito a mantenere la pace tra le nazioni continentali per decenni e decenni, la stessa che ha però qualche problema nel gestire uniformemente i naturali fenomeni migratori, da sempre esistiti, in ogni era umana. Arrivano tanti soldi e con essi tante speranze. L’auspicio propedeutico è quello d’essere all’altezza di sane e prudenti riforme, sul piano economico-finanziario. La speranza sui piani culturali ed infrastrutturali è però quello di saper osare, ora più che mai.

Se il reddito di cittadinanza non sta garantendo una mobilità socio-economica, occorre superare le retoriche meramente assistenzialiste. Occorrerebbe infatti investire di più nell’arte, nella cultura, nella tecnologia. L’Italia dei rapidi cantieri è l’Italia che ci piace, l’Italia dell’ulteriore sburocratizzazione è il Belpaese che le imprese vogliono, l’Italia delle effettive garanzie sui tempi rapidi nei processi civili e commerciali è la Patria ital-europea, in cui i cittadini vorrebbero vivere, per coniugare libertà e sicurezza.

In quella Italia lì – che oggi non c’è – risulterebbe naturale affrontare le tematiche della solidarietà su più fronti, del pieno riconoscimento dello ius soli (anche temperato nelle tempistiche di acquisizione della cittadinanza). In quella Italia lì si potrebbero meglio e più serenamente convertire le produzioni industriali, già operative e produttive di Pil, all’insegna delle fonti energetiche rinnovabili. Non c’è transizione ecologica senza seri progetti d’investimento nel campo della ricerca scientifica, tecnica e tecnologica. Si pensi per esempio alla geotermica, nuova frontiera avanguardista che potrebbe rivoluzionare l’ecologia in modo effettivo, senza retoriche. Oggi le fonti geotermiche non riescono però a coprire consistenti percentuali di fabbisogno energetico. Anzi, le percentuali sono davvero irrisorie. Non si può quindi pensare di decantare manieristicamente un ecologismo senza ecologia, un progresso sintetico senza guardare alla realtà delle cose, che richiedono fatica, soldi e tempo.

I soldi arriveranno. Bene! Occorre prima di tutto avere un piano progressivo, al di là delle belle frasi e slogan progressisti. Serve far ardere la fiamma di una italianità aperta, dinamica e trasversale, rinascente nelle nuove libertà e competenze, da conquistare ed acquisire: serve farlo con piani che dalla doxa passino alla praxis. In questa èra di saperi tecnici in ulteriore fibrillazione, si deve investire nella ricerca tecnologica, per permettere agli addetti ai lavori di partorire ideazioni concretizzabili in meccanismi innovativi, che sappiano garantire maggiore protezione sul lavoro, maggiore cura e armonia dell’industria nell’ambiente circostante, maggiore tutela della salute dei cittadini che vivono in aree inquinate dai veleni. Non si devono perdere di mira le lungimiranti idee macro-evolutive, ma per concretizzarle occorre concentrarsi sulle imminenti manovre da compiere: investire nella ricerca prima di tutto, per poi poter convertire le produzioni industriali, senza retoriche semplicistiche, senza sacrificare sull’altare del cambiamentismo i posti di lavoro e le vite delle famiglie.

Le ragioni del Pil sono coniugate con le questioni lavoriste ed occupazionali. I soldi arriveranno, ma devono essere spesi bene, in stagioni riformiste capaci di pianificare concretamente e di sorprendere positivamente, senza perdersi in proclami vuoti, che servono solo a prendere like per transeunti consensi. Una politica riformista seria è una politica che prende forma sulle fondamenta sicure del tempo necessario alla buona laboriosità. Una politica seria non vive infatti di arrembaggi cibernetici, o di algoritmi da campagne elettorali. Tutto è interconnesso e un processo progressivo d’innalzamento degli standard qualitativi, negli stili di vita dei lavoratori e dei cittadini in alcune aree geografiche ecologicamente disagiate, a rigore, non può non passare per un’attenta analisi degli impatti che le innovazioni tecnologico-applicative genererebbero sull’economia, sugli ascensori socio-ambientali, sull’industria produttiva, sui sistemi energetici di approvvigionamento. Più tecnologia, più innovazioni infrastrutturali, e conseguentemente più conversioni industriali che sappiano coniugare la protezione della vita, della salute, dei diritti sociali e del lavoro: la presa di coscienza realista e all’avanguardia che serve.

Se il presente è un ricatto tra salute e lavoro in alcune aree della Penisola (non solo a Taranto) non si può pensare di utilizzare le mannaie e le bacchette magiche. Nel rispetto delle normative da reinterpretare ed evolvere, si devono cercare risposte declinabili sistematicamente, partendo dalla tecnologia d’avanguardia per arrivare ad alternative industriali eco-compatibili. Non dall’oggi al domani ma in un lasso di tempo almeno decennale, partendo dai piani rimediali immediati a tutela dell’ambiente e della salute umana, per arrivare ai piani di conversione produttiva in senso eco-evolutivo. Per ogni mutamento produttivo servono incentivi, sicurezza nel mantenimento dei diritti socio-lavoristi, e tanta grinta d’investimento. La scienza ha un ruolo principe, la tecnica e la tecnologia hanno missioni applicative di cui la politica deve farsi carico, per realizzare l’altra società possibile, non soltanto sui libri di filosofia, non soltanto nei cortei allegri di quei giovani rimasti utopisti fruitori dei nuovi slogan della rete. Se uno slogan ultra-progressista si dimostra impaziente ed incapace di dialetticizzarsi, nonché di confrontarsi concretamente con tutte le altre idee, anche con quelle più dissacranti e politicamente scorrette, quello slogan è destinato a perire nella propria intransigenza, solipsisticamente. Se un programma politico è illuminato da fiamme vive di libertarismo socio-economico e culturale, di evoluzionismo economico, infrastrutturale ed industriale, la green policy sarà più verde delle foglie a primavera. E lo sarà veramente. Il greenwashing è solo una sintetica vernice, che predica ma non pratica.

La politica è ardore e serietà, non molle animosità o pressappochismo. Forse serve diminuire il grado di personalismo ed egocentrismo dei politici influencer sui social, e aumentare lo spessore di lavoro nonché di studio sulle problematiche, da parte degli stessi politici più noti e più visibili. Sicuramente serve aumentare e promuovere la meritocrazia, anche nelle militanze poste alla base delle attuali classi dirigenti politiche, nei fragili partiti per lo più identitariamente disorientati. Chi fa il segretario di un partito deve farsi “pescatore di uomini”, e possibilmente di uomini e donne che meritano d’esser messi in mezzo alle dialettiche della buona politica. Chi fa il segretario di un partito non può chiudersi nel recinto arrivista del proprio ego da incensare e mantenere. Si dovrebbe ritornare allo scounting politico nei partiti, quale pratica funzionale all’innovazione della classe politica del futuro. Tutto ciò non accade, e spesso i più critici, i più politologici e i più avanguardisti vengono utilizzati (se va bene) per le manovalanze nelle ricorrenze festive di partito, quando ancora ci sono.

Sulla meritocrazia, invece di stendere un velo pietoso, ci vediamo costretti a citare Indro Montanelli: “Il bordello è l’unica istituzione italiana dove la competenza è premiata e il merito riconosciuto”. Anche se siamo immersi in questa situazione poco rassicurante, si deve procedere sulla via maestra della resilienza, senza sosta. D’altronde, come diceva qualcuno con il basco che sotto-sotto affascinava un po’ tutti, a sinistra e a destra estrema, “chi lotta può perdere, chi non lotta ha già perso”.

Chi non riposa mai sulle spalle dei giganti del passato può perdere la ragione, quale ago paziente da tenere sempre sulla propria bussola politica, ma chi riposa troppo sugli adagi di un passato che fortunosamente gli è caduto addosso in eredità può ritrovarsi vuoto e travestito, nichilizzato da una vita e da un tempo che non sono più i suoi. Chi non lotta perde la vita senza averla vissuta.

Aggiornato il 04 giugno 2021 alle ore 10:10