
“C’è un Giudice a Berlino?”. Difficile da dire. Ma, certamente, a Catania esiste. E, come accade nel gioco delle tre carte, una volta arrestati i complici, il banco isolato va fallito di sicuro. Certo, si tratta di dare un nome ai soggetti richiamati in metafora. Iniziamo da chi gestisce il banco.
Partiamo dal “cappotto” (o avvelenamento alla Navalny dell’avversario politico) del 1992, quando per via giudiziaria vennero di fatto estinti la Democrazia Cristiana e il Partito Socialista Italiano, due dei tre grandi soggetti politici italiani (il terzo sopravvissuto, cambiando vari nomi, gestisce tuttora il nanco) che, nel bene come nel male, avevano fatto la storia dell’Italia moderna.
Nel 1994, solo due anni più tardi, per la stessa via venne amputato giudiziariamente il loro erede, diciamo così, di sintesi: quella Forza Italia di Silvio Berlusconi che, in qualche modo, era riuscito a coagulare in un nuovo centro liberal-conservatore l’elettorato ex democristiano ed ex socialista, rimasto senza più riferimenti politici, ottenendo la maggioranza quasi assoluta alla Camera e stravincendo al Senato.
Risorto Berlusconi con il successo nel 2001 del nuovo centrodestra e con Forza Italia al trenta per cento, ripetuto poi nel 2008 con il Pdl al 37,4 per cento, la forbice giustizialista si è puntualmente rinserrata nel 2013 con una condanna definitiva per frode fiscale, e la conseguente decadenza da senatore del Presidente di Forza Italia, in base alla Legge Severino.
E, siccome non c’è due senza tre, appena qualcuno va sopra al 30 per cento (come ad esempio la Lega del 34,3 per cento alle ultime elezioni europee del 2019, o il Movimento Cinque Stelle al 32,7 per cento alle politiche del 2018) accade che il banco si muova per farlo perdere spostando la pallina del potere sotto un altro bicchiere.
Così, anche Matteo Salvini è inciampato nella trappola dei procuratori della Repubblica ai tempi di Luca Palamara, con l’accusa di sequestro di persona, per aver tenuto una nave carica di migranti ferma nel porto, impedendone lo sbarco. Qui l’ipocrisia del politically correct ha raggiunto il suo apice, visto che gli ospiti della nave (sotto costante, ossessiva osservazione dei media di tutto il mondo!) erano costantemente assistiti medicalmente e riforniti regolarmente di beni di prima necessità.
L’esatto contrario di una prigione abusiva galleggiante, come vorrebbe far intendere il maestro delle tre carte. Iniziato il processo a Catania a carico di Salvini, il boomerang ha preso la via del ritorno dirigendosi pericolosamente verso il banco che gestisce la posta illegale (= distruzione di un leader politico per via giudiziaria). Così, il pm di turno ha tentato di dare una brusca sterzata al timone per evitare la rotta di collisione (= chiamata in correo del Governo Conte I, firmatario del provvedimento di chiusura dei porti nazionali alle navi delle Ong), chiedendo l’archiviazione per l’ex ministro dell’Interno.
Troppo tardi. Il giudice di Catania li ha chiamati a deporre all’interno del processo. Certo, finirà pari e patta. Del tipo: non ci sono reati penali perseguibili, ma solo una questione di opportunità in cui il Governo ha calcato un po’ troppo la mano, ritardando uno sbarco poi regolarmente avvenuto.
Ovviamente, per il principio di cui sopra (chi supera il 30 per cento è il nuovo nemico da distruggere), il banco ha più volte tentato di spennare il pavone stellato con il colpo d’ala della condanna penale per le sindache (meglio il maschile) Cinque Stelle, Chiara Appendino a Torino e Virginia Raggi a Roma, con altri illustri inquisiti nelle fila del Movimento sparsi per le amministrazioni locali di tutta Italia.
Con effetti però piuttosto blandi, visto che nelle più recenti tornate elettorali amministrative non si è assistito al travaso di consensi dalle stelle al.. banco! Così, si sono scelte altre strade. Come, ad esempio, aprire un procedimento penale contro il figlio di Beppe Grillo. Sarà un caso, ma immediatamente dopo il Papete il Movimento ha fatto un doppio salto mortale obbedendo al maestro. Con il primo, i contestatori anti leadership hanno baciato l’enorme rospo antropofago parcheggiato a Bruxelles, gettando alle ortiche il mantra anti euro, fino a sposare i locali poteri forti scegliendo con i loro voti determinanti la Ursula Von der Leyen.
Subito dopo, sempre su impulso del loro guru, dando un così un clamoroso calcio all’ urna cineraria di Davide Casaleggio, si sono lasciati cavalcare dallo scorpione rosso del Nazareno per un governo di sopravvivenza con l’odiatissima sinistra, favorito dall’arcinemico Matteo Renzi, accomodandosi all’ombra rassicurante del sicomoro delle poltrone ministeriali e parlamentari.
Mancava soltanto un ultimo passaggio: affondare il pungiglione dello scorpione (stavolta, come si è capito, la rana traghettante per riacciuffare il potere è di colore giallo) nel floscio pallone aerostatico del Blog delle telle e del perfido Rousseau, algoritmo al quale i loro beneficiari, miracolati del potere, dovevano proprio tutto, essendo entrati nelle liste bloccate con appena poche centinaia di preferenze degli iscritti alla piattaforma. Ma, così facendo, come nella favola di Esopo, lo scorpione rosso rischia l’implosione della rana salvatrice e, di conseguenza, la morte cerebrale del Conte II.
Infatti loro, gli ex del Vaffa, hanno scoperto ex-post che i parlamentari rappresentano la Nazione e non una sparuta e rissosa minoranza di internauti, dalla quale pertanto non intendono più essere telecomandati in quanto stanno per diventare una bella principessa-Partito, in cerca di marito preferibilmente di sinistra.
Ma, se la rana si scissa, il banco troppo furbo potrebbe ben presto vedersi sequestrare dalla Storia bicchieri, pallina e banchetto.
Aggiornato il 06 ottobre 2020 alle ore 13:42