La riforma della legittima difesa: forse abbiamo scherzato?

Lo Stato era nell’ età classica l’incarnazione assoluta di quella che era la suprema idea morale, cioè quella della Giustizia.

Cosa succedeva qualora non fosse nell’immediato possibile l’intervento dello Stato a protezione della vita e/o dei beni dei consociati? Nel diritto romano classico e giustinianeo era ammesso che il singolo potesse farsi giustizia da sé sia per la salvaguardia preventiva dello status quo, che per il ristabilimento di quello violato da un’aggressione esterna (vim vi repellere licet).

Nel periodo carolingio fu dichiarata lecita l’uccisione dell’ingiusto aggressore non solo per salvare la propria o l’altrui vita, ma anche il proprio onore e le proprie sostanze. In prosieguo di tempo, la morale cristiana e la legislazione pontificia postularono che la difesa non potesse esorbitare dai confini dello stato di necessità, cioè che non si arrecasse all’aggressore un male maggiore di quello che era indispensabile per far cessare l’offesa e conseguire la propria sicurezza.

Il padre del liberalismo moderno, John Locke ( 1632-1704), teorizzò un Contratto sociale -figura poi ripresa da Rousseau(1712- 1778 )- come momento fondativo dello Stato, in ragione del quale gli individui convenivano di non privarsi di ogni potere innanzi allo Stato onnipotente, ma delegavano ad esso solo quello di difesa e di farsi giustizia da soli.

Volendo focalizzare il discorso sul tema della legittima difesa qui solo sommariamente accennato, si evince che si tratta di un diritto naturale, per cui i singoli ordinamenti succedutisi nel tempo, non lo hanno “creato”, in quanto ad essi preesistente, ma lo hanno “riconosciuto” facendosi funzionalmente carico di regolamentarlo, onde assicurare un’ordinata convivenza civile nella cornice del patto sociale fondativo.

Per aversi legittima difesa, l’art.50,2 c. del codice Zanardelli sanciva la non punibilità di colui che aveva commesso il fatto “per esservi stato costretto dalla necessità di respingere da sé o da altri una violenza attuale ed ingiusta”. Tuttavia - recitava l’ultimo comma dell’articolo in esame - se il soggetto era andato oltre i limiti previsti nell’evocata necessità, era parimenti esente da pena “se l’eccesso è stato effetto del turbamento d’animo prodotto dal timore della violenza o del pericolo”

Venendo all’attuale legislazione penale, in gran parte fondata sul codice Rocco, con gli aggiornamenti resisi  necessari dal divenire socio-politico nell’arco dei quasi 90 anni trascorsi dalla sua redazione, l'art. 52 c. pen. testualmente recita al primo comma: “Non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di difendere un diritto proprio o altrui contro il pericolo attuale di un'offesa ingiusta, sempre che la difesa sia proporzionata all'offesa”.

Rispetto al precedente codice Zanardelli, che contemplava il fatto di respingere una violenza attuale, quello Rocco ne anticipò il momento consentito per l’esercizio della difesa, a quello del pericolo dell’offesa.

In atto con la legge 13 febbraio 2006 n. 59, novellata più recentemente da quella 26 aprile 2019 n. 36, si è introdotta la c. d .legittima difesa domiciliare, al fine di consentire una maggiore tutela alle vittime dei furti in casa, alla quale è equiparato ogni altro luogo dove si eserciti un’attività commerciale, professionale o imprenditoriale.

 Si configura un eccesso colposo di legittima difesa (art 55 c. .pen), quando si travalicano colposamente i limiti stabiliti dalla legge o dall'ordine dell'autorità ovvero imposti dalla necessità, cioè quando in presenza di una situazione reale che giustifichi in astratto detta difesa, siano stati superati colposamente i limiti di proporzionalità tra offesa e difesa, se il fatto è preveduto dalla legge come delitto colposo.

Per converso, la punibilità è esclusa - vale a dire si prescinde dalla configurazione di un’astratta proporzionalità -  “se chi ha commesso il fatto per la salvaguardia della propria o altrui incolumità ha agito nelle condizioni di cui all'articolo 61, primo comma”, cioè quando il reo aggressore abbia profittato di circostanze di tempo, di luogo o di persona, anche in riferimento all'età, tali da ostacolare la pubblica o privata difesa. La punibilità è parimenti esclusa trovandosi “in stato di grave turbamento, derivante dalla situazione di pericolo in atto”.

Il quadro storico, filosofico e giuridico, per sommi capi delineato sulla legittima difesa nella cornice del contrattualismo come fondamento ideale e storico dello Stato, va completato con alcuni cenni sulla realtà contemporanea del nostro Paese, in merito alla criticità percepita nel rapporto tra rappresentanti e rappresentati, segnatamente in tema di pubblica sicurezza e di ordine pubblico. Detto tema  è strettamente connesso con quello della legittima difesa individuale che, come in un’altalena ideale, sale e scende a seconda del contrappeso fornito dallo Stato a garanzia dei beni fondamentali della vita e della proprietà del cittadino.

Mezzo secolo fa (1969) si ebbe un’organizzata “conflittualità permanente” con scioperi a catena, e tafferugli come quello di Battipaglia, in seguito al quale la Sinistra più accesa chiese il disarmo delle Forze dell’Ordine. Disordini accaddero anche nelle Università, a partire dalla Sapienza di Roma, sino a quelli nella Statale di Milano, nei cui pressi il 19 novembre fu assassinato nel suo autoblindo il giovane agente di PS Antonio Annarumma, durante gli scontri con dei facinorosi di area marxista: le forze dell’ordine erano sì armate, ma con la consegna di non difendersi con i mezzi  che avevano in dotazione.

Nel 2001 durante il G8 di Genova, morì il giovane dimostrante Carlo Giuliani, mentre brandiva un estintore per scagliarlo contro un blindato dei Carabinieri, da dove il milite Mario Placanica sparando un colpo lo ferì mortalmente .

L’aggressore fu immortalato come un eroe – andando ben oltre l’umana pietas che merita sempre la morte -  mentre l’aggredito, che aveva agito nella  legittima difesa prevista dal codice penale, venne sottoposto non solo a procedimento giudiziario, ma anche a gogna mediatica, con un paradossale scambio di ruoli tra aggressore (soccombente) ed aggredito (reo di essere sopravvissuto difendendosi).

Dieci anni dopo,  le “bravate” dei c. d . Black Block calati a Roma il 15 ottobre 2011 non furono il frutto di furia estemporanea, ma di un piano studiato nei minimi dettagli e meticolosamente preparato, anche attraverso viaggi di “istruzione” all’estero, per perfezionare la nobile arte della devastazione e del saccheggio, goffamente nobilitata da motivazioni economico–sociali.

Si ebbero eclatanti episodi di distruzione vandalica e di proditoria aggressione alle Forze dell’Ordine, allorché quei delinquenti organizzati misero a soqquadro la Città di Roma, realizzando l’inquietante ripetizione di sequenze già vedute, appartenenti ad un passato prossimo e remoto.

Un gruppo di circa 2000 professionisti formati nella tecnica della guerriglia urbana, che crearono panico, terrore e sconcerto - il che esattamente era ciò che desideravano - tra negozi, banche, chiese, private abitazioni, nonché tra la massa dei dimostranti “regolari”. Il tutto nella spavalda prospettiva di farla franca, essendo i delinquenti appoggiati dalle rispettive famiglie, incapaci di vedere negli atti criminali dei loro rampolli, poco più che delle esuberanti “ragazzate”; delinquenti altresì sostenuti dalla dietrologia giustificazionista da salotti radical-chic, miranti a spiegare, contestualizzare, motivare ed infine assolvere.

Questo fu il “condimento aggiuntivo” che dette un sapore speciale alla protesta nostrana, avvelenandone gli ingredienti di base . Questo fu possibile, ancora una volta, non per l’insufficienza numerica dei tutori dell’ordine chiamati a fronteggiare la furia scientemente devastatrice dei delinquenti organizzati, quanto per la mancanza – in seno alle nostre forze di polizia - di poteri di prevenzione, di deterrenza e di repressione, analoghi a quelli di  forze loro omologhe operanti in altri Paesi liberi, dove l’energia della dissuasione non ha mai messo in discussione la stabilità delle Istituzioni democratiche , ma anzi le ha rafforzate.

Un giovane carabiniere, dileggiato ed aggredito da un bandito - studente a tempo perso, se non fosse riuscito a mettersi in salvo dal suo automezzo dato alle fiamme, avrebbe  corso il rischio di restare intrappolato come il povero Annarumma e di farne la stessa fine, oppure – ove si fosse difeso - di trovarsi processato da criminale come Placanica.

In questi termini, nessun appartenente alle Forze dell’Ordine fu più in grado di operare a difesa, prima ancora che della propria incolumità (il che è un diritto naturale, preesistente ad ogni codificazione scritta che lo legittimi formalmente), di quella dell’intera  collettività. 

Un agente di polizia che il 10 giugno 2018 aveva sparato con l’arma di ordinanza per salvare un collega accoltellato da un giovane ecuadoriano, lo uccise, si ritrovò incriminato per eccesso colposo di legittima difesa!

Oggi la scena si ripete, con un’ipotesi accusatoria assai più grave: Omicidio volontario, nonostante la recentissima riforma legislativa della legittima difesa.

È del 1 marzo u.s.  l’episodio accaduto a Napoli di un malvivente quindicenne  che ha puntato un revolver alla tempia di un giovane carabiniere in borghese per rapinarlo di un Rolex, con la conseguente reazione armata della vittima, a tutela dell’incolumità propria e della fidanzata che era con lui. L’aggressore è stato portato moribondo al Pronto soccorso, ma nonostante i tentativi dei sanitari per salvargli la vita, è spirato. Il Pronto soccorso è stato subito dopo devastato da una  banda di criminali “solidali”; ma come se ciò non bastasse sono stati anche sparati dei colpi di pistola contro la Caserma Pastrengo, sede del Comando provinciale dei Carabinieri di Napoli.

A fronte di siffatti atti di spavalda sfida allo Stato, anche questo carabiniere oggi, come il menzionato poliziotto ieri, si è trovato ad essere indagato,  addirittura – come accennato -  per omicidio.

Qualcuno dovrebbe spiegare ai comuni cittadini – ed a maggior ragione  ai tutori dell’Ordine - a fronte della percezione di una sorta di inesorabili  “automatismi” nelle incriminazioni a titolo di “eccesso colposo”, o addirittura di “omicidio volontario”, in che cosa consista la “fisiologia “della legittima difesa. 

Procedendo per questa strada, si è progressivamente consolidato un sostanziale depotenziamento delle Forze di Polizia, che non sono state formalmente disarmate, ma che di fatto non possono difendere la collettività senza rischiare  un’incriminazione.

A questa situazione di paralizzante operatività di coloro che sono chiamati a difenderci, si aggiunga l’ulteriore venir meno dell’effetto crimino-deterrente del sistema penale: ciò che serve - lo insegnava il Beccaria - non sono nuove e più aspre sanzioni, bensì pene certe nel momento applicativo, senza sconti, amnistie, indulti, offerte premiali ed altro, che vanificano l’effetto dissuasivo delle pene medesime, dato non dalla loro gravità in astratto, ma dalla loro inesorabilità nel momento applicativo.

La ragione fondante di un’organizzazione istituzionale, è data prioritariamente dal fatto che coloro che ne fanno parte - come già inizialmente accennato - hanno rinunziato alla singola autotutela dei propri diritti fondamentali (come quello alla vita, alla pace, alla proprietà, alla libertà), per realizzarne una più efficace associandosi stabilmente in una solida e durevole struttura organizzativa, di cui lo Stato moderno rappresenta la forma più evoluta. Detto Stato trae pertanto la sua ragion d’essere ed il limite invalicabile al suo agire, nella protezione dei diritti ricordati, che sono ad esso preesistenti e dei quali è chiamato a garantire il godimento tramite le Forze Armate e di Polizia, per la difesa – rispettivamente - da aggressioni esterne ed interne.

Nel caso che l’invocata tutela venga meno, o non risulti più adeguata per un oggettivo indebolimento delle Forze dell’Ordine, due sono le strade giuridicamente percorribili: ridare a dette Forze i poteri operativi originari, senza dover esse incorrere automaticamente in incriminazioni penali per “eccesso di ….”; oppure - e questa sembra la via scelta con la recentissima riforma del Codice penale - rafforzare l’ autotutela del singolo cittadino, sempre più frequentemente esposto a varie forme di criminalità, baldanzosa e fidente nella sostanziale impunità, fino ad esigere “risarcimenti del danno” da parte delle vittime che hanno avuto l’ardire di resistere ad un tentativo di furto o di rapina.

Questo è il quadro di riferimento nel quale va contestualizzata l’attuale riforma della legislazione sulla legittima difesa, che per sommi capi andiamo a riassumere.

La legittima difesa in genere - va ribadito -  non è una tutela creata dal Legislatore, bensì un atto “ricognitivo” di un diritto naturale preesistente alla nascita di società organizzate (villaggio, Comune, Stato) sin dai tempi antichi: quello alla vita, innanzi tutto, ed a seguire - con criteri di proporzionalità - alla tutela dei propri beni. Diritto naturale che è presente anche negli animali a livello di “istinto”, allorché vengano aggrediti.

In estrema sintesi esemplificativa: se una donna di notte in una strada isolata viene minacciata da un malvivente, può difendersi senza dover essere chiamata a rispondere su di una proporzionalità reattiva o meno, che soltanto a mente lucida è dato valutare.

In ultimo, dato che in tempi recenti si è assistito al paradosso di vittime che hanno dovuto risarcire il delinquente o i suoi parenti sotto il profilo civilistico, provvidamente il Legislatore ha sancito nel novellato testo dell’art.2044 c. civ. che “Non è responsabile chi cagiona il danno per legittima difesa di sé o di altri.”

Norma questa utile ad omnem dubium tollendum, ma che forse non era indispensabile, dal momento in cui non può configurarsi un danno da un’azione definita “lecita” in sede penale. L’accertamento della legittima difesa, anche meramente putativa, va compiuto attraverso una ricostruzione dell’atteggiamento dell’aggredito nel concreto. Esso va effettuato - per poter ammettere la scriminante in discorso - con una valutazione ex ante circa le circostanze in cui la vittima si è trovata a dover reagire nell’immediato, e non ex post in base a degli schemi precostituiti circa la proporzionalità e la necessità difensiva, decontestualizzati dalla realtà dell’evento.

Nel promulgare la legge in parola il 26 aprile 2019, il presidente Mattarella ha non casualmente voluto sottolineare che “la nuova normativa non indebolisce né attenua la primaria ed esclusiva responsabilità dello Stato nella tutela della incolumità e della sicurezza dei cittadini, esercitata e assicurata attraverso l’azione generosa ed efficace delle Forze di Polizia.”

La novità  – ha proseguito -  è data dal rilievo decisivo assunto dallo allo stato di grave turbamento derivante dalla situazione di pericolo in atto, oggettivamente determinato dalla situazione in cui si è venuto a manifestare. Un’anomalia  testuale rilevata dal Presidente è che, mentre nella legittima difesa “domiciliare” le spese del giudizio per le persone interessate siano poste a carico dello Stato, analoga previsione non è contemplata per le ipotesi di legittima difesa in luoghi diversi dal domicilio.

La pregnante puntualizzazione del Presidente della Repubblica nel ribadire il ruolo fondamentale delle Forze dell’Ordine per tutelare l’incolumità e la sicurezza della collettività, appare vieppiù illuminante per ricordare le condizioni dell’ideale patto sociale che lega i cittadini con lo Stato, essendo i primi tenuti a pagare le tasse, ed il secondo a garantirne con le Forze Armate la difesa da aggressioni esterne, e con quelle di polizia nelle sue varie articolazioni (Carabinieri, Polizia di Stato e Guardia di Finanza), a salvaguardarne l’incolumità personale e patrimoniale da aggressioni criminali .

Il ridare fiducia e poteri alle Forze dell’Ordine sarà giovevole per la civiltà della Nazione tutta, nella consapevolezza che non può esservi durevole libertà lasciando impunito il crimine e – peggio ancora - criminalizzando coloro che rischiano la vita senza aspettarsi nemmeno un “grazie”. Ma neppure di finire sotto processo.

Solo allora sarà possibile una riflessione non emergenziale sulla perdurante necessità o meno che sia il singolo cittadino a doversi difendere senza per questo essere perseguito; oppure che vengano pienamente restituiti ai Tutori dell’Ordine quei poteri preventivi, dissuasivi e repressivi della criminalità, senza i quali poteri la stessa parola di “Tutori dell’Ordine” rischierebbe di apparire un guscio vuoto.

 

Aggiornato il 03 marzo 2020 alle ore 14:52