Il non cambiamento

Un aforisma, un commento – Cosa vi sia di epocale nell’attuale momento politico davvero mi sfugge. Crisi di sistema, Terza Repubblica, rivoluzione, mi sembrano dilatazioni concettuali adottate da commentatori desiderosi di attirare attenzione coniando termini grandiosi o terribili. Certamente la nuova maggioranza e il Governo che ne è seguito sono eventi di notevole rilevanza sul piano della dinamica europea oltre che su quello della politica interna. Tuttavia, per quel che riguarda il sistema politico italiano, le cose non sono molto diverse da come erano fino al 4 marzo.

La scenografia dei partiti appare ben diversa, ma le motivazioni e l’orientamento degli elettori no. I Cinque Stelle non sono altro che un provvisorio serbatoio di voti, migrati da destra e da sinistra, alla ricerca di gratificazioni per se stessi o di punizioni verso altri, ma pronti a tornare all’ovile di fronte a probabili disillusioni. Altrettanto vale per la Lega la quale, in quanto ormai partito nazionale, ha raccolto null’altro che l’adesione di folle impaurite dalla cronaca e dunque in cerca di qualcuno che “metta ordine” e “faccia giustizia”. Inoltre, la Costituzione è sempre la stessa, la formazione del Governo ha seguito le stesse procedure compromissorie di sempre e i rapporti internazionali sono dichiarati in perfetta linea con i governi precedenti.

Il risultato elettorale è che, su due elettori, uno si è comportato come detto sopra mentre l’altro, coi nervi più saldi, ha preferito scegliere partiti che, pur proponendo obiettivi sostanzialmente identici a quelli dei due quasi-vincitori (crescita economica, sostegno alle fasce deboli della società, sicurezza e rapporti con Bruxelles) non si esprimevano con l’imprevidente sguaiatezza e la brutalità dei primi. Mettere ordine e fare giustizia non sono sicuramente esigenze inusitate né sul piano storico-politico né su quello sociologico e contengono sempre elementi di pericolosità, soprattutto in Paesi come l’Italia che, nei primi decenni del secolo scorso, ha già conosciuto fenomeni del genere. Ma l’Italia dei nostri giorni non è quella degli anni venti così come non lo è l’Europa. Né si vede all’orizzonte una corale tensione che possa dar corpo all’idea dello Stato etico superficialmente richiamata da quel buon uomo di Danilo Toninelli.

Ciò che accadrà nei prossimi mesi è in qualche modo segnato: Lega e 5 Stelle, che i sondaggi, durante le lunghe trattative, davano in forte crescita, sono sin d’ora condannate a subire un calo non solo tipico – quello che vale per ogni maggioranza quando accede al potere – ma assai più consistente perché proporzionale alla dimensione dell’inevitabile marcia indietro che il Governo dovrà fare e, anzi, sta già facendo rispetto alle mirabolanti promesse. Per qualche tempo Lega e 5 Stelle saranno condannate a stare assieme, poiché avvertiranno sulla pelle a quale sonora sconfitta andrebbero incontro aprendo una crisi di Governo. Ma ciò non farà che aumentare ancor di più lo scontento di quel “popolo” al quale continueranno a dare nient’altro che parole o poco, troppo poco, di più. Un popolo che, se ben indirizzato dai partiti “classici”, tornerà a collocare le proprie preferenze elettorali verso quella destra e quella sinistra che, nel calderone grillino, sono soffocate, malamente mescolate e alla fine rese del tutto inefficaci.

C’è solo un duplice rischio: che, da un lato, le forze politiche classiche non sappiano trarre profitto dal pressapochismo inconcludente del Governo e, dall’altro, che i leader dell’attuale maggioranza, o uno solo dei due, riescano a portare oltre il limite l’idea, già circolante, che l’Italia è accerchiata da nemici esterni e che gli italiani devono riscattare il proprio futuro unendosi attorno ad un “capo”, o magari due. Ma, come detto, l’Italia di oggi non è quella di ieri e il ceto medio, che ha sicuramente contribuito pesantemente al successo ancorché parziale, di Lega e M5S, è più attento allo spread, ai tassi di sconto, alle imposte e al prezzo della benzina che non alle minacce bolsceviche. Insomma, il semaforo dell’attuale maggioranza è tra il giallo e il verde, ma poi, inevitabilmente, verrà il rosso. E Luigi Di Maio, vista l’impossibilità di “fare la Storia”, passerà augurabilmente alla geografia.

 

Aggiornato il 06 giugno 2018 alle ore 19:52