Chi l’avrebbe immaginato che Raffaele Fitto, il politico venuto dal profondo Sud, sarebbe riuscito a radicare, in un Paese sensibile alle pulsioni popolari e a talune fascinazioni cesariste, la pianta del conservatorismo d’ispirazione anglosassone. Margaret Thatcher ne sarebbe fiera. Non è mai stata cosa facile, in Italia, dirsi conservatori: ci voleva coraggio. Una vena conservatrice la storia della nostra nazione l’ha conosciuta agli inizi dello scorso secolo. Ma quel conservatorismo di matrice tedesca venne presto risucchiato nel gorgo del fascismo. Forse anche per questo, nel tempo dell’Italia repubblicana, conservazione è stata quasi una parolaccia e chi la professava era guardato con sospetto. Non più dallo scorso sabato, giorno dello “sdoganamento” grazie alla fondazione ufficiale di “Direzione Italia”, formazione politica che prende vita dall’evoluzione del gruppo parlamentare dei Conservatori & Riformisti. C’è voluta una lunga e paziente gestazione perché il progetto venisse alla luce. Mesi di lavoro spesi intessendo rapporti solidali e ascoltando i territori.
“Direzione Italia” poggia su un programma chiaro che non ammette ambiguità. La sua collocazione è a destra, alternativa al campo progressista con il quale non intende scendere a patti né fare inciuci. La sua struttura organizzativa sarà di tipo confederale, puntando a rappresentare quel vasto mondo che vive nelle espressioni del civismo e dei movimenti locali. Partito snello, ma non liquido. Le parole d’ordine sono quelle del paradigma thatcheriano: meno Stato, meno tasse, meno burocrazia, più libertà per il privato. La collocazione internazionale è fortemente ancorata ai valori dell’Occidente ed a un europeismo diverso da quello vissuto e respirato oggi a Bruxelles. Il blocco sociale al quale guarda è quello del ceto medio produttivo, orfano di un’efficace rappresentanza che ne tuteli gli interessi oltre il chiacchiericcio delle promesse elettorali. La “mission” è tarata sull’obiettivo di breve termine di rimettere in moto il sistema produttivo delle piccole e medie imprese, asse portante dell’economia italiana. La bestia nera contro cui ingaggiare una lotta senza quartiere è l’impazzimento della spesa pubblica. D’altro canto ai conservatori questo Stato invasivo e spendaccione non è mai piaciuto. Daniele Capezzone, dal palco dell’Ergife, ci ha scherzato su.
Parafrasando la celebre invocazione kennediana ha detto: “Più che chiederci cosa possiamo fare noi per lo Stato italiano, domandiamoci cosa lo Stato italiano ci sta già facendo”. Una battuta da prendere sul serio. “Direzione Italia” guarda avanti proponendosi uno compito escatologico: tornare a inalberare la bandiera della rivoluzione liberale e farlo come se si dovesse rianimare una fiamma sepolta sotto la coltre di cenere della “Seconda Repubblica”. Un lavoro, che è una missione per il Paese, da portare avanti con convinzione, ma non da soli. Fitto e i suoi sono consapevoli di dover giocare la partita all’interno di un quadro di alleanze ampio perché la corsa in solitario può essere nobile se ambisce a garantire la vittoria per governare, non se si limita a essere pura testimonianza. Trovare un’intesa con le altre anime della destra, in particolare con quella neo-sovranista della coppia Salvini-Meloni, non è impossibile ma neppure facile. Le differenze ci sono, soprattutto nell’approccio al rapporto con l’Europa della moneta unica. Tuttavia, la ricerca di una sintesi programmatica è d’obbligo se non si vuole lasciare il Paese nelle mani di due incompetenze, in apparenza alternative ma simili nella sostanza: quella renziana e quella grillina. Se coalizione di centrodestra sarà, il suo leader dovrà essere scelto attraverso il meccanismo delle primarie: su questo punto Fitto è irremovibile.
“Direzione Italia”, in fondo, è una scommessa. Comunque vada sarà un bene per il centrodestra perché un’alleanza che includa i conservatori sarà, come avrebbe detto Pinuccio Tatarella, “una casa più ariosa”.
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:46