Indagate le coop d’accoglienza a Cona

Le accuse vanno dall’omissione di soccorso all’omicidio colposo, così partono dalle Procure di Veneto ed Emilia le indagini su chi ha gestito accoglienza e sicurezza nel Centro accoglienza di Conetta, dove s’è verificato il decesso della venticinquenne ivoriana Sandrine Bakayoko. Indagini che ora s’allargano a macchia d’olio sull’intera macchina dell’accoglienza adriatica, dal Veneto sino al Salento, e che promettono di fermare entro i prossimi mesi l’industria dell’accoglienza, il più delle volte gestita da parenti di funzionari di enti locali. Un affare senza precedenti che, giocando sull’illusione di un futuro migliore, ha ingannato centinaia di migliaia di migranti, stipati per far cassa nei cosiddetti centri d’accoglienza: niente igiene, false dichiarazioni su quantità e qualità del cibo somministrato, assente la sicurezza nelle strutture prefabbricate e nelle abitazioni adibite ad alloggi. La documentazione in mano alle procure è tanta, e s’è accumulata perché in tutti questi anni nessuno ha osato indagare sull’affare accoglienza.

Intanto sono partiti dal centro accoglienza di Conetta (frazione di Cona) pullman e furgoni con a bordo i migranti da accompagnare nelle strutture dell’Emilia Romagna: dove le prefetture hanno destinato i migranti per scongiurare tafferugli. Intanto indiscrezioni parlano di complicità tra pubblici funzionari e gestori del centro di Cona, e le indagini riguarderanno anche le prefetture del Veneto.

Sul pullman che si è allontanato dal centro hanno preso posto soprattutto coppie di migranti. “È una continua carovana di ragazzi africani carichi di borse di nylon - dicono a Conetta - entrano ed escono dal Cpa di Cona, nella campagna veneziana. Si è rischiata la rivolta dopo la morte di una giovane migrante uccisa da trombosi polmonare”.

L'intervento della polizia dicono sia stato tempestivo, ma è servito solo a rimuovere lo sbarramento di un centinaio di immigrati che avevano sequestrato gli operatori della cooperativa: la situazione è tornata sotto controllo, ma non spiega come mai siano mancati i soccorsi. Nell’ex base militare erano arrivati 1500 profughi, chiusi come polli in batteria, e perché ogni migrante valeva quanto il contributo pubblico corrisposto, e gestito dai vertici della cooperativa.

“C’è il giusto dolore per la perdita di una connazionale - spiega Angelo Sanna (Questore di Venezia) - ma adesso stiamo andando un po' oltre. Abbiamo il risultato dell'autopsia. C'è stato l'intervento degli agenti perché non si poteva consentire il blocco del campo all'infinito”.

Cona, anzi, Conetta, è la minuscola frazione di 190 abitanti che ospita l'ex base militare oggi hub per i migranti: è balzata d'improvviso agli onori delle cronache, e ci dicono che di situazioni simili ve ne sarebbero più d’un centinaio lungo l’Adriatico. Con le camionette delle forze dell'ordine sono arrivate a Cona anche le troupe televisive. I pochi residenti hanno fatto capannello lungo la strada. Nessun odio verso i migranti, ma tanta è la rabbia verso chi ha consentito questi ghetti, campi di prigionia non degni d’una nazione civile.

Giordano, un muratore di 54 anni che abita a due passi dal Cpa, osserva che “anche di notte è un viavai continuo di gente, centinaia di migranti che trasportano di tutto, pacchi, trolley, buttano le lattine vuote per terra. Non possiamo più uscire di casa - continua Giordano - ne avevano portati solo un gruppo di 49. Siamo 190 in paese, erano già tanti, ma potevamo sopportare, si poteva gestire. Ora sono 1500 e ci è scappato il morto. Chissà cosa potrà succedere ancora”.

“A Cona nessuno viene trattato come una bestia, tutti hanno una sistemazione dignitosa - tenta di giustificarsi il presidente di Edeco (cooperativa d’accoglienza)”: la coop risulta già indagata dalla Procura di Venezia per precedenti irregolarità. “Ovvio che non è un paradiso - aggiunge il presidente di Edeco - un albergo è più confortevole di un campo come quello di Cona ma in questo momento la Prefettura ha individuato la nostra struttura”. Ma il giallo rimane. E la procura si chiede come mai le cure siano state prestate da un medico interno al campo di Cona e in seguito sia stato chiamato il 118: da questa priorità partono indagini e accuse.

Perché la ragazza è stata trovata dagli operatori del 118 priva di sensi dentro un bagno del campo, nel quale si era chiusa a chiave o (forse) era stata chiusa da qualcuno. “La causa della morte - ha chiarito il Pm Lucia D'Alessandro - è stata accertata: una trombo-embolia polmonare bilaterale”. Intanto il sindaco di Cona, Roberto Panfilio, ha rivelato che Sandrine avrebbe avuto circa un mese fa un aborto, per il quale era stata seguita da un medico del paese. Chi era il padre del bambino? Soprattutto, perché un medico del paese s’era occupato di Sandrine senza che gli operatori del campo avvertissero la Asl competente? Intanto il Viminale ha disposto il trasferimento di soli 100 migranti nelle strutture d’accoglienza emiliane. Uno spostamento che sa tanto di farsa, visto che ben 1400 rimangono a Cona, ed il rischio rivolte si fa oggi concreto.

Intanto qualcuno già paragona Cona alla Calais d’Italia: un vero e proprio campo di prigionia, dove secondo alcuni addetti ai lavori finirebbe il viaggio dei migranti che, per ordini dell’Ue, andrebbero semplicemente trattenuti a vita nelle strutture italiane: molti migranti preferirebbero il rimpatrio ad una vita negata, “ma l’Italia oggi non ha risorse sufficienti per garantire il viaggio di ritorno” afferma un viceprefetto di stanza al Viminale.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:45