Chi di nuovismo ferisce, di populismo perisce

L’aver esposto un Paese finanziariamente molto fragile alle inevitabili turbolenze che si scateneranno a seguito della sempre più probabile bocciatura popolare del referendum costituzionale, rappresenta una grave mancanza politica per Matteo Renzi. Una mancanza politica che si appesantisce di giorno in giorno nel momento in cui il medesimo rischio viene evocato dal genio di Firenze per far leva sul senso di responsabilità nazionale dei cittadini italiani.

In sostanza, siamo sempre fermi al medesimo ricatto democratico che ha consentito all’attuale Premier di formare un Governo raccogliticcio prima e di galleggiare successivamente, spacciando riformicchie e mance elettorali per svolte epocali. Dopo di me il diluvio, questa la sintesi politica di un personaggio che si riteneva inattaccabile al cospetto di una presunta mancanza di un’alternativa politica spendibile sul piano elettorale. Ed è soprattutto per questo suo ostentato delirio di onnipotenza che Renzi ha messo in piedi una riforma costituzionale pensata quasi esclusivamente come prova di forza per rinsaldare la sua posizione di “uomo solo al comando”. Solo che nel frattempo, sia in Europa e sia in altri luoghi del Globo, sta soffiando un ben poco rassicurante vento populista il quale, nella sua elementare semplificazione, sembra destinato a spazzare via chi la stessa semplificazione ha usato per far finta di rinnovare un sistema incancrenito come quello italiano.

Da questo punto di vista, l’essersi presentato come l’esponente di un nuovismo che facesse concorrenza ai grillini - ossia i populisti al momento numericamente più consistenti - sbandierando la giovane età e lo slogan della rottamazione poteva funzionare solo in una prima fase. Ma una volta divenuto il numero uno dell’establishment e, a torto o ragione, in questo modo dai più identificato, la stessa febbre nuovista, la quale sta letteralmente divorando molte democrazie occidentali, è destinata ad abbatterlo inesorabilmente. Il tutto aggravato da una realtà economica e sociale totalmente distonica rispetto alla continua e debordante propaganda renziana, fatta di illusioni e slogan auto-consolatori.

In sostanza, la linea economico-finanziaria dell’Esecutivo dei miracoli non ha modificato se non in senso peggiorativo l’andazzo di una democrazia che si regge in piedi attraverso un colossale meccanismo redistributivo che genera un eccesso di fiscalità e di indebitamento, andando nella direzione opposta rispetto a ciò di cui avrebbe bisogno il Paese. A questo punto, dopo aver gettato nello sciacquone del voto di scambio molti altri miliardi, a nulla serve ricordare che gli intendimenti dei grillini e del resto dei populisti nostrani risultano ancor più catastrofici. In una nazione sempre molto restia a trovare i nessi causali, come quella tra l’assistenzialismo a la bassa crescita, l’alternanza basata sul fallimento di colui che ha promesso la Luna appare più che scontata. In questo senso, referendum o meno, il rapido declino politico di Renzi è del tutto scontato.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 21:58