Parisi: leader british  in una politica urlata

Sabato scorso ho seguito di persona la tappa perugina di “Megawatt, energie per l’Italia”, il tour nazionale con il quale Stefano Parisi sta cercando di far cambiare verso ad un centrodestra piuttosto disperso e attualmente privo di una leadership che lo possa riaggregare.

All’interno del Teatro Pavone, pieno ben oltre la sua capienza, con l’ottima organizzazione dell’avvocato Valter Biscotti - membro autorevole del Tribunale Dreyfus - l’uomo incaricato da Silvio Berlusconi di rigenerare l’area dei cosiddetti moderati ha definito con una certa chiarezza la sua linea politica, pur nei limiti che un’iniziativa nata da poco tempo e con intenti inclusivi può consentire.

A tutta prima, al di là delle specifiche questioni di merito, mi ha colpito la compostezza, la signorilità e la pacatezza molto british di Parisi; caratteristiche queste ultime lontane anni luce da quel populismo sempre più ostentato che sta da tempo involgarendo il dibattito italiano. Ed è proprio in antitesi ad ogni forma di populismo che l’ex candidato sindaco di Milano ha detto di rifarsi ad un liberalismo popolare, fondato sul principio di una libertà, soprattutto nel campo dell’iniziativa economica, che coinvolga l’intera collettività a partire dal basso. Oltre a ciò, sul piano dei contenuti concreti, egli ha marcato una netta differenza sul tema dell’immigrazione rispetto al lepenismo di alcuni storici alleati di Forza Italia, contestando sia la sinistra delle frontiere aperte ma anche la destra che vorrebbe risolvere il problema con le ruspe. Parisi ha poi duramente attaccato su tutta la linea la politica economica del Governo Renzi, stigmatizzando il continuo scambio elettorale ottenuto a colpi di bonus e mance e sostenendo con fermezza che “un Paese indebitato come il nostro non si fa ripartire con la spesa pubblica, bensì consentendo al sistema privato di investire attraverso una forte e generalizzata defiscalizzazione”. Né, infine, poteva mancare una altrettanto dura requisitoria nei confronti di un referendum costituzionale pasticciato che, a suo dire, se fosse approvato aprirebbe la strada ad un lungo periodo di confusione istituzionale.

Fin qui tutto bene, potremmo dire. Tuttavia, così come ho già avuto modo di sottolineare su queste pagine, vi sono alcuni importanti nodi da sciogliere i quali, nella prospettiva di una rinascita dell’antico spirito del 1994, allo stato risultano essere ostacoli quasi del tutto insormontabili per mettere in piedi una coalizione con ragionevoli prospettive di governo. Mi riferisco in particolare al rapporto con l’Europa e, conseguentemente, alla nostra permanenza o meno nella moneta unica. Una questione che, sebbene in questi ultimi tempi è resa meno dura nei toni da Lega e Fratelli d’Italia, continua a costituire un notevole discrimine proprio per quella destra fortemente inclinata verso il citato lepenismo. Ma volendo rappresentare uno schieramento credibile che, in ultima istanza, non segua i grillini sulla strada catastrofica di una autarchia valutaria che in poco tempo farebbe letteralmente saltare in aria il Paese, occorre che Parisi, o chiunque voglia incarnare una spendibile opzione liberale, riesca a condurre su una linea politicamente accettabile i suoi alleati, evitando di trovarsi un domani nella stanza dei bottoni con un’opposizione interna che sogna di riportarci all’incubo costante dell’inflazione e dell’instabilità del cambio.

Infine, per onestà intellettuale debbo dire che, pur apprezzando il lodevole tentativo di Parisi, nei riguardi della politica italiana in generale resto leopardianamente pessimista. Soprattutto in considerazione del fatto che la stessa politica, come dimostra il caso eclatante del signorino soddisfatto di Palazzo Chigi, si contende il consenso dei cittadini attraverso un uso a dir poco disinvolto delle risorse pubbliche, accrescendo di quando in quando il mostruoso Leviatano dello Stato assistenziale e burocratico. Ed è proprio su questo piano che dovrà misurarsi l’energia riformatrice del nuovo centrodestra vagheggiato da Stefano Parisi.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:05