
Non ci sono soltanto alluvioni e terremoti a coprire di melma l’Italia, ci pensano le organizzazioni umanitarie a completare l’opera. Ieri è stato diffuso il rapporto di Amnesty International sulle violazioni dei diritti dei rifugiati e dei migranti da parte delle autorità di polizia italiane. Il rapporto - denominato “Hotspot Italia - Come le politiche dell’Unione europea portano a violazioni dei Diritti di rifugiati e migranti” - è un atto d’accusa contro il cosiddetto “approccio Hotspot” ideato in sede europea e la cui applicazione è stata imposta all’Italia allo scopo di ottenere l’identificazione certa di tutti gli irregolari entrati nel Paese.
Prima della Raccomandazione, emanata dalla Commissione europea nel maggio 2015, il governo di Roma tendeva a fare orecchie da mercante sulla questione dei riconoscimenti. Era il modo più sbrigativo per eludere la mannaia dell’accordo di Dublino, che prevede l’obbligo in capo ai Paesi membri di trattenere gli irregolari presso il proprio territorio dopo l’identificazione. Ovviamente il giro di vite imposto all’Italia non ha incontrato il favore dei nuovi arrivati, alcuni dei quali, nel timore di non poter più raggiungere i Paesi del Nord Europa, hanno opposto resistenza all’identificazione. Il ministero dell’Interno ha, quindi, autorizzato le forze dell’ordine a un uso proporzionato della forza per il prelievo delle impronte digitali. Oggi il sistema dell’identificazione è a regime, ma per gli operatori di Amnesty International non va bene. Nella sua implementazione vi sarebbe stata, secondo il Rapporto, una violazione sistematica dei diritti dei migranti spinta, in alcuni casi, fino alla tortura. Nel report compare una sequenza di testimonianze che descrivono metodi polizieschi degni del Cile di Pinochet.
Sarà, ma la denuncia di Amnesty, a naso, ci sembra una porcata bella e buona. Accusare la polizia italiana di praticare la tortura sulla base esclusiva dei racconti dei soggetti interessati non fa onore alla verità e neppure alla prassi garantista. Castro, diciannovenne fuggito dal Darfur, dichiara di essere stato colpito con un manganello elettrico al petto. Adam, 27 anni del Darfur, dice che i poliziotti, al suo rifiuto di farsi prendere le impronte, gli hanno spezzato il dito mignolo dopo averlo riempito di calci. Analogo trattamento per Abker. Ishaq racconta che, in un ufficio della polizia ferroviaria a Torino, sia stato costretto a denudarsi per poi essere umiliato sessualmente dagli agenti presenti. Adam, torturato in quel di Catania, dichiara: “Resistevo ancora. Allora mi hanno fatto spogliare, mi sono tolto i pantaloni e non avevo biancheria intima. Hanno usato un altro strumento – una specie di pinza con tre estremità... Ero su una sedia di alluminio, con un’apertura sulla seduta. Mi tenevano per le spalle e per le gambe, mi hanno preso i testicoli con la pinza e hanno tirato per due volte. Non riesco a dire quanto è stato doloroso”.
Del medesimo tenore tutte le altre testimonianze messe in fila nel report. Se fosse vero saremmo finiti in mano a una manica di spietati aguzzini senza accorgercene. Ma dubitiamo fortemente che quella raccontata da Amnesty sia la verità. Lo si capisce dal metodo di rilevazione adottato dall’estensore della ricerca. Interviste, colloqui e chiacchierate con avvocati e associazioni del settore. Ma le prove? Di fronte a denunce di tale gravità, dove sono i referti medici che attestano le violenze subìte? È stata prodotta un’indagine per appurare se i mezzi di tortura denunciati fossero o meno nelle disponibilità degli organismi di polizia coinvolti? E la versione degli accusati dov’è? Non l’abbiamo trovata all’interno del report.
È facile fare inchieste scaricando vagonate di letame. Così si finisce tutti cornuti e mazziati. Li accogliamo, li ospitiamo, li manteniamo a nostre spese e alla fine dobbiamo sentirci dare dei torturatori. E tutto per cosa? Perché si ha la folle pretesa di conoscere l’identità di chi entra in casa nostra. Con tutto il rispetto per le buone opere compiute da Amnesty International, ma qui ci si è bevuti il cervello.
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:02