
La conferenza stampa di fine d’anno di Matteo Renzi è stata a dir poco illuminante. Al netto della retorica propagandistica che grondava dalle sue parole, il premier ha reso noto quale sarà il terreno sul quale intenderà sfidare tutte le opposizioni, collocate alla sua destra ma anche alla sua sinistra: il referendum costituzionale.
“Se perdo me ne vado”, ha dichiarato. Lo prendiamo in parola. Sull’appuntamento delle amministrative, invece, ha glissato. A suo dire le prossime elezioni comunali riguarderebbero i territori, non le sorti del governo. In questa prevedibile presa di distanza si coglie il disagio per una sconfitta annunciata della quale, lui per primo, sembra pienamente consapevole. La certezza di buscarle nelle urne di primavera lo ha convinto perciò a spostare l’intera posta della permanenza alla guida del paese sulla vittoria referendaria. La mossa appare azzardata ma ha un senso. Renzi non può attendere la scadenza naturale della legislatura, nel 2018, per capitalizzare i modesti risultati ottenuti in due anni di governo. Per questo motivo deve chiedere all’elettorato un voto di fiducia prima che sia troppo tardi e i fatti, non le opposizioni, gli presentino il conto.
Il referendum, che si terrà prevedibilmente nel prossimo autunno, si presta a meraviglia allo scopo perché in quel pasticcio chiamato legge Boschi c’è lui, la sua filosofia di governo, la sua visione dell’Italia e delle istituzioni repubblicane. All’opposizione non resta che prenderne atto e preparare le contromisure. Lasciando da parte le manovre in corso in casa 5Stelle e tra i desaparecidos della Sinistra-sinistra, è opportuno focalizzare l’attenzione su ciò che accade all’interno del centrodestra dove l’insidia maggiore potrebbe venire dalla contestazione del comportamento ondivago tenuto da Forza Italia durante l’iter di costruzione della riforma. Sarà gioco facile per Renzi e i suoi dire: l’avete scritta con noi e poi l’avete rinnegata. Questo schema d’attacco farebbe del partito azzurro l’anello debole della catena del centrodestra.
È dunque indispensabile che Silvio Berlusconi, che ha dichiarato di essere pronto a ritornare in campo per dare una spallata a questo governo illegale, prima di ogni altra cosa chiarisca agli italiani come si siano svolti i fatti che portarono alla stipula del patto del Nazareno, il quale includeva il varo della riforma costituzionale, e, dopo, al cambio radicale di posizione. Il vecchio leone di Arcore è uomo di sport, abituato a discutere con gli allenatori delle sue squadre di schemi di gioco. Non sarà, quindi, difficile studiare una tattica che gli consenta di anticipare le mosse dell’avversario. Parli prima lui degli altri per non essere sospinto nell’angolo. Dica lui, il presidente, che non c’è stato alcun conflitto d’interesse tra l’agire in politica e la conduzione di Mediaset. Disinneschi per tempo la proditoria bomba che il “mansueto” Sandro Bondi gli ha lanciato tra le gambe con l’ignobile intervista-confessione data agli “amici” de “La Repubblica”.
Berlusconi ha ragione ad affermare che senza di lui Forza Italia deperirebbe, ma è altrettanto vero che senza un’operazione-verità sulle scelte compiute negli ultimi anni, dal sostegno al governo Monti in poi, il centrodestra non avrebbe possibilità alcuna di riconquistare i consensi perduti. Matteo Renzi ha lanciato il guanto di sfida, è dunque doveroso raccoglierlo. Tuttavia, soltanto uno statista vigoroso e positivo, libero da anacronistici vittimismi, potrà vincere. Allora, presidente Berlusconi, si goda la festività del primo dell’anno e poi si butti nella mischia senza incertezze o soverchie timidezze. Ora o mai più!
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:35