Nessuno tocchi Caino:   le voci al VI Congresso

I numeri contano e le circa 400 persone tra relatori, delegati e detenuti del carcere di Opera e giunti da altri istituti di detenzione italiani per portare le loro testimonianze e le loro storie al VI congresso di Nessuno Tocchi Caino (svoltosi proprio ad Opera) contano ancora di più.

Perché a formare quei 400 partecipanti ha contribuito anche la presenza di molti studenti universitari e dei professori Andrea Pugiotto e Davide Galliani, autori insieme al detenuto ergastolano Carmelo Musumeci del libro “Gli ergastolani senza scampo. Fenomenologia e criticità costituzionali dell’ergastolo ostativo”. Da questo congresso, intitolato “Spes contra spem” per richiamare l’urgenza di sperare contro ogni speranza ed andar oltre la speranza nel contrasto alla pena capitale di cui l’ergastolo, specialmente quello ostativo, non è che una variante altrettanto atroce, solo distillata più lentamente ed in cui è tra l’altro stato conferito il premio “L’Abolizionista dell’anno 2015” a Papa Francesco, che ha definito l’ergastolo come una “pena di morte mascherata”, è arrivata una straordinaria notizia.

Sì perché non capita tutti i giorni che l’autorità del sistema penitenziario italiano, il capo del Dap Santi Consolo che, dopo aver riconosciuto che il carcere modello di Opera rappresenta la prova della possibilità di miglioramento sotto il profilo delle condizioni trattamentali dei detenuti, proprio davanti a quella platea di detenuti molti dei quali di massima sicurezza che nella quotidiana mortificazione del sé e nella negazione di qualsiasi prospettiva di accedere alla funzione rieducativa del carcere vedono annichilita ogni speranza, si è dichiarato platealmente contro l’ergastolo ostativo, definito “costituzionalmente illegittimo”. Ma anche totalmente fuori dalla giurisprudenza europea che, oltre a giudicarlo trattamento inumano e degradante della dignità umana, indica come indispensabile la prospettiva della rieducazione e del divieto di privare i detenuti della prospettiva del rilascio e della libertà. Ben venga, dunque “la critica intelligente esercitata dai radicali, un reale contributo”, aggiungiamo un pungolo costante anche a suon di ‘controcifre e contro percentuali’ con cui Rita Bernardini ha sempre incalzato le rosee prospettive di normalizzazione dell’emergenza carceraria presentate dal dicastero della Giustizia. Tanto che “risolto in parte l’aspetto quantitativo, resta da lavorare su quello qualitativo, con attenzione volta anche alla polizia penitenziaria che ha contribuito a far crescere la speranza”.

Ad Opera sì, e forse in altri limitati istituti di pena è così. Anche se a smorzare parzialmente le parole di Consolo ci hanno pensato alcuni detenuti provenienti dal 41 bis in altre carceri prima del trasferimento ad Opera. A.S., ad esempio, ancora rivive la paralisi in cui si svegliava dopo che per mesi di notte è stato privato del sonno dallo sbattere della finestrella ad opera delle guardie ogni mezz’ora e la sua mente ha iniziato a rispondere meccanicamente all’attesa della violenza uscendo dal sonno prima che il fisiologico meccanismo di immobilità notturna con cui si impedisce al corpo e ai nostri arti di seguire i nostri sogni. E se di notizia si può parlare per Consolo lo è anche per quanto detto dall’ex presidente della Consulta ed ex ministro della Giustizia, Giovanni Maria Flick: “In sette anni si rinnovano le cellule quindi io sono stato soggetto a vero cambiamento”, un’adesione convinta alla squadra di chi ritiene che “nelle carceri debba entrare a pieno titolo la Costituzione e la dignità perché ve ne sono in misura troppo scarsa ed un Paese come il nostro che si accinge a cambiare la carta costituzionale prima dovrebbe leggerla e deve abbattere l’emergenzialità del sovraffollamento per riaffermare il senso di umanità e della dignità contro il baratto tra libertà del detenuto e sicurezza sociale. Partendo dalla revisione del carcere duro e dal riesame del ruolo del magistrato di sorveglianza”. Già perché, come spiega l’ergastolano R.C., “è il magistrato di sorveglianza che ha potere di scindere l’ergastolo dalla misura ostativa; io ad esempio quando sono stato condannato all’ergastolo non sapevo che sarei entrato in 41 bis, che tra l’altro deve essere temporaneo e non lo è mai”. Ed è nel dubbio espresso successivamente che parla sottotraccia di quel feroce baratto tra collaborazione e concessione dei benefici penitenziari che si contrappone al fine rieducativo della pena annichilendo anche qualsiasi possibilità di dirsi innocente o privi delle informazioni necessarie alla collaborazione. “Ma chi non ha la possibilità - si chiede R.C. - di accedere alle ‘regole’, agli strumenti per ottenere i benefici che fa, deve morire in carcere?”. Ma Flick ha insistito: “Di solito si dice, tutto cambi perché tutto resti come prima; io dico perché tutto cambi, perché ciò di cui si stanno occupando gli Stati generali delle carceri deve confluire nella legge delega che si sta discutendo in Parlamento sulla revisione del sistema penale. Ci si può dire per l’abolizione della pena di morte in un Paese in cui in carcere si seguita a morire per sovraffollamento, mala gestione salute ed in cui viene annichilita l’affettività?”. Toni nel solco del messaggio inviato dal Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, che nel riferirsi alla lotta alla pena capitale come irrinunciabile battaglia di diritto e umanità promossa dall’Italia si è poi riferito all’ergastolo ostativo ricordando che “è al centro di un animato dibattito politico e giuridico ed è all’esame del Parlamento una norma di delega che mira a ridurre gli automatismi e le preclusioni che escludono i benefici penitenziari per quei condannati”. Sarà, ma forse un primo segnale concreto di disponibilità politica ad affrontare realmente lo scomodo tema dell’ergastolo ostativo con i suoi feroci automatismi e le sue preclusioni assolute lo si sarebbe potuto dare, prima di licenziare alla Camera il ddl sul processo penale.

Invece, con piena soddisfazione di alcune voci della magistratura, come quella del Procuratore antimafia Franco Roberti e del Pm Nino Di Matteo, si è preferito schivare il rischio che l’opinione pubblica possa leggere una discussione sull’ampliamento della concessione dei benefici carcerari come favore all’associazionismo mafioso, sacrificando così all’imperativo della deterrenza una misura che oltretutto baratta i benefici carcerari con la collaborazione e quindi tradisce ulteriormente quella valenza rieducativa che la Costituzione ma anche pronunciamenti e carte della giurisprudenza europea assegnano alla pena. Certo è che a tener banco tra i pur lodevoli interventi al congresso sono state le testimonianze dei detenuti, snocciolate in un grumo di sarcasmo torrentizio ed ironia di chi ormai si sente non più vivo, in un gioco amaro di contrapposizioni lessicali in cui alla convinzione di Flick che “la dignità non è un problema di misericordia”, è giunta la replica tuonata degli ergastolani che “la speranza non è illusione”.

Così se i dati del censimento realizzato tra gli ergastolani italiani forniti dal professor Galliani ci inchiodano al dato allarmante dei detenuti in ergastolo ostativo, arrivato a 1619 da quando è stato introdotto nel 1992 sul totale di 1172 ergastolani e il professor Pugiotto ha spiegato bene le ragioni dell’incostituzionalità del 4 bis e del 41 bis, addentrandosi nelle incongruenze tra Costituzione formale e materiale, sono loro i detenuti, sulle corde del crudo sarcasmo del dolore ma anche su quelle dell’ironia dei forti e della speranza, ad aver il maggiore merito di aver comunicato cosa significhi quel regime di privazione sensoriale, di vessazioni e di negazione dell’individuo contro cui rivendicano la volontà di volere ancora avere speranza. “Altrimenti uccideteci, prevedetelo, perché la nostra è una pena di morte più lunga” e distillata nel tempo a micidiali dosi anche in osservanza a quella formula “per esigenze di sicurezza” sotto cui si permettono spietate privazioni: “Cosa c’entra con la sicurezza l’ora d’aria al giorno consentita, o toglierci lo shampoo, o toglierci gli spaghetti?”, si chiedono.

E ancora, sul racconto di Della Vedova che ha parlato della dignità e dell’importanza del consenso come “parte necessaria di un racconto all’opinione pubblica sia per l’ergastolo sia per la pena di morte” o all’intervento di Emma Bonino instancabile nel richiamare con la Bernardini l’urgenza di un’amnistia come temporanea ma sacrosanta misura “per riportare le istituzioni italiane a misura e fare un passo avanti nei confronti della Costituzione in un Paese in cui sono troppi coloro che, oltretutto, sono in carcere per lunghezza dei processi in attesa di giudizio e dove si seguita a criminalizzare ciò che non ha vittime per cui le carceri si stipano” è il registro visionario e spiazzante di G.P., 18 anni e mezzo di carcere, a tener tutti inchiodati all’ascolto. Insieme all’amico F.DD si racconta il tira e molla dello spaghetto, concesso loro nel 2009 e poi ritolto per motivi di sicurezza esterna. “Lo spaghetto? Ecco perché siamo malati, non esiste la speranza”. Ma l’apice che nessuno immagina arriva come un macigno scagliato con forza in acque fangose quando avverte tutti che il suo amico “F. vi sta fregando, sì perché si è ammalato del micidiale morbo di Burgher che manda in cancrena le vene e poi gli arti che gli stanno progressivamente amputando. Gli è stato negato il permesso di accedere a cure migliori nonostante nel 1996, uscito per scadenza dei termini, non sia scappato. Ma vi sta fregando perché ora sta uscendo a pezzi”. Anche S.C., 23 anni di carcere in isolamento scontati a Pianosa, scegli le corde dell’ironia sulle parole di Flick: “A me allora le cellule mi si sono rinnovate tre volte e un po’. Dateci una possibilità di speranza”.

È l’ironia, per quanto velenosa, anch’essa distillata a piccole dosi, un’ottima arma con cui mitridatizzarsi contro la morte interiore. Così se i dati del Rapporto 2015 sulla pena di morte di Nessuno Tocchi Caino presentati dalla segretaria e tesoriera Elisabetta Zamparutti assegnano all’Asia il primato per numero di esecuzioni, A.C da 33 anni ad Opera, ringraziando NTC del lungo cammino fatto spera “che non sia una seconda Salerno-Reggio Calabria”.

Non tutti riescono a sdrammatizzare e O.P, 23 anni di carcere, di cui molti in 41 bis a Tolmezzo ma oggi ad Opera, racconta della lenta morte dei detenuti al 41 bis, molti dei quali soggetti a quella misura dal 1992. “Si vive in sezioni di massimo tre o quattro persone, se solo saluti prendi il rapporto disciplinare. Io sono padre ma non genitore perché non ho mai potuto toccare mio figlio, solo dopo 23 anni riuscirò ad abbracciarlo, attraverso il vetro sono consentiti una volta al mese e dopo il colloquio parenti e detenuti vengono spogliati tutti. Ditemi voi questo che c’entra con la sicurezza”. G.F. spiega che “le notizie in cui vi sia un riferimento al luogo in cui abbiamo commesso il reato vengono oscurati, ma soprattutto si possono ascoltare alla radio solo le frequenze AM, il canale FM viene piombato e sulla vite messa la ceralacca così si accorgono se si prova ad aprirle, e scatta il rapporto disciplinare. Ma cosa ha a che vedere questo con le ragioni di sicurezza? E cosa c’entra con le ragioni di sicurezza non potersi lavare dopo le 18. O non poter mangiare alcuni alimenti semplici”. G.F., che al 41 bis ha sofferto di claustrofobia, racconta che non c’è modo di gestirla, tanto viene sempre dichiarata simulazione, se non “con farmaci che ci vengono consegnati in bustina trasparente e che non si conoscono, senza verifiche sulle possibili interazioni. C’è gente rimasta paralizzata per una iniezione”. Ma la malattia più grave che sopraggiunge, interviene G.P., è l’abitudine al dolore ed arrivare a credere che sia giusto ciò che non lo è. La giustizia deve esser riparatrice ma non può andare oltre”. A.S. si dice che si inizi a vivere da quando iniziano i ricordi; ecco, io da 24 anni in carcere li ho persi perché qui è racchiuso tutto, è l’unica realtà che conosco”. E all’invito di Sergio D’Elia ad aver “fiducia nella forza riformatrice del dialogo perché le cose mutano solo se ci sarà il reciproco”, C.D.A. adotta il potente registro del sarcasmo crudo: “Mi so’ fatto tutti i circuiti dal 41 bis all’As 1 all’As2 e ora qui ad Opera ma nun sò nisciuno. Eppure avrei potuto esser recuperato prima. È possibile che un Paese che si sbandiera contro la pena di morte lasci morire in condizioni disumane in carcere?”. F.A. ricorre al professor Veronesi per dire che l’ergastolo è antiscientifico “perché si cambia e solo dando fiducia agli uomini si costruiscono altri uomini e io grazie all’area pedagogica mi sono laureato essendo entrato analfabeta”. F.S. ha intravisto una speranza “attraverso un percorso trattamentale con l’area educativa che dopo 21 anni e mezzo mi ha consentito di accedere allo scorporo ed il mio ergastolo è diventato normale”. Durissimo F.T.: “Dal 2005 sento che ergastolo verrà abolito - dice alla platea - Penso che fino a che non porterà voti questo non accadrà”. Da ex ergastolano cui è stata commutata la pena in 37 anni, R.F. prova disagio “nei confronti dei compagni in ostativo cui resta solo la vita che scorre nelle vene, perché vivono nella tortura tutti i giorni. Ed io sento la libertà che mi accarezza e si avvicina”. Infine R.C., che sta scontando l’ergastolo da innocente, ed è soltanto una delle innumerevoli vittime del malato sistema giudiziario italiano, che “con ingenuità da terzomondista, penso che la Cassazione sia roba seria e riconosca la mia innocenza per un omicidio su cui il Pubblico ministero ha già dichiarato che non erano in grado di chiarire le responsabilità ed essendosi già costituito il vero colpevole. Ma le pressioni xenofobe evidentemente hanno vinto. Devo attendere 20 anni per dimostrare la mia innocenza?”. Così come innocente si è sempre proclamato Brega Massone, che seppur presente in sala non ha voluto prendere la parola insieme agli altri condannati ed a cui ieri hanno confermato l’ergastolo in appello.

Ma alla fine la sensazione è che “qualcosa è cambiato” e che si sia rafforzato il percorso che sconfigga la violazione delle garanzie e riporti l’esecuzione della pena, anche la più cruda che la giustizia decida di infliggere, nell’alveo costituzionale.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:19