Cosa fare per la nostra sicurezza

Dopo Parigi di una cosa si deve essere certi: non si può continuare a gestire il problema del fondamentalismo islamico come si è fatto finora. Gli scarafaggi che si sono insinuati e riprodotti negli interstizi delle comunità europee devono essere individuati e neutralizzati. Dobbiamo farlo, raccogliendo la richiesta di aiuto lanciata da François Hollande, tutti insieme come europei.

Dobbiamo ritrovare l’orgoglio dell’appartenenza che ci accomuna e che, invece, sembra ottenebrato dalla sbornia multiculturalista cominciata nel 1968 con il “maggio francese” e mai finita. In attesa, però, che Matteo Renzi esca dall’ambiguità in cui s’è cacciato preoccupiamoci dell’Italia. Per debellare il male che si annida nel nostro paese, è necessario integrare l’azione repressiva delle forze dell’ordine con adeguate misure di prevenzione. Occorre togliere acqua alla capacità espansiva dello jihadismo, soprattutto tra le giovani generazioni di musulmani che trovano nel messaggio ideologico-religioso dell’Is una visione del mondo che l’Occidente non sa più dare. Ma come viene veicolato il messaggio del fondamentalismo al nostro interno? Dalle cronache abbiamo appreso che il veleno si propaga attraverso un capillare sistema di reclutamento.

Sono almeno due i contesti nei quali gli jihadisti agiscono: i cosiddetti centri culturali che ruotano intorno alle moschee e le carceri. Nei primi, i predicatori dell’odio hanno l’opportunità di influenzare le menti dei fedeli offrendo loro una plausibile spiegazione all’impraticabilità del processo d’integrazione con la cultura dell’Occidente laico e cristianizzato. Gli elementi di differenziazione tra le diverse civiltà vengono esasperati e posti in una dimensione escatologica del conflitto. Nella narrazione fondamentalista gli stili di vita degli occidentali, che poi erano l’obiettivo della strage parigina, incarnano, nella prospettiva di fede del musulmano jihadista, l’abominio e la perversione della vita che fa a meno della luce del vero, unico Dio. La scelta dello sterminio è l’esito naturale di un bisogno di purificazione che passa attraverso l’affermazione di una negazione ontologica senz’appello.

Come opporvisi? Devono essere rafforzate le misure del pacchetto- sicurezza, varate all’inizio di quest’anno. Quindi, maggiore severità nella chiusura dei luoghi d’aggregazione sospetti ed espulsione immediata di tutti i suoi responsabili, non soltanto dei predicatori incriminabili. Non deve accadere che i reclutatori, forti del diritto alla libertà d’espressione unilateralmente garantito e protetto dalla Carta costituzionale, abbiano buon gioco nel deviare menti impreparate verso una declinazione errata dei rapporti con la tradizione e la cultura della società ospitante. I luoghi di preghiera devono essere accessibili, devono essere note le generalità degli imam e, soprattutto, le predicazioni devono svolgersi in lingua italiana per essere conoscibili. Il secondo punto nevralgico è l’universo carcerario.

L’umanità che popola quel mondo è già evidentemente segnata per cui i reclutatori hanno buon gioco nel fare adepti, pescando nell’acquitrino della criminalità comune. In questo caso urge spezzare il legame educativo-solidale che mira a costruire, all’interno del carcere, una nuova condizione identitaria del credente in Allah. Come farlo? Si applichino ai detenuti indagati per terrorismo di matrice religiosa le misure afflittive previste dall’articolo 41-bis dell’ordinamento penitenziario. I sospetti jihadisti, una volta catturati, devono essere isolati come avviene per i boss mafiosi. È un trattamento troppo duro? Probabile. Ma è bene che i nostri nemici assaggino la mano pesante della democrazia. Pensano gli scarafaggi dell’Is che siamo rammolliti? Dimostriamogli, come prova a fare Hollande, che hanno preso una cantonata. Anche uno Stato di Diritto e liberale può essere implacabile quando sono in gioco i sacri principi sui quali si fonda.

Aggiornato il 06 aprile 2017 alle ore 14:48