La Fornero rompe il tabù del lavoro

Non ho mai fatto sconti al cosiddetto governo dei tecnici, soprattutto per i troppi compromessi adottati con l’imperante collettivismo tassaiolo e dirigista. Tuttavia la tanto contestata, particolarmente a sinistra, intervista rilasciata dalla ministra Fornero al Wall Street Journal ha espresso un concetto che personalmente ho sempre condiviso: il lavoro non dovrebbe essere affatto un diritto, bensì una conquista da raggiungere con serietà ed impegno.

Un concetto piuttosto impopolare all’interno di una società assistita fino al midollo da una politica costruttivista la quale si è sostenuta per decenni sull’illusione che attraverso di essa si sarebbe potuto ottenere qualunque obiettivo desiderabile, tra cui la piena occupazione per tutti. E da questo punto di vista l’ultimo approdo per i demagoghi del lavorio come variabile indipendente da tutto sarebbe quello del cosiddetto reddito di cittadinanza. Una proposta, quest’ultima, particolarmente insensata tanto sul piano economico che su quello sociale, che tempo addietro fu portata avanti per il nostro Mezzogiorno anche da un uomo come Piero Fassino, il quale nella sua area politica non passa certo per un radicale.

Fatto sta che, a mio avviso, il bel principio costituzionale di una Repubblica che «riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto» è stato declinato nel tempo in un modo sempre più devastante da un sistema politico orientato a concedere privilegi in cambio di consenso. Soprattutto nelle zone più arretrate del Paese il tanto decantato diritto al lavoro è diventato lo strumento per consentire ad una massa crescente di individui di caricarsi sulle spalle del solito Pantalone. In molti settori della società, in cui è forte la presenza di nuclei sindacalmente organizzati, lo stesso diritto si è trasformato in un ramificato sistema di sostegno e di sovvenzionamento pagato attraverso la fiscalità generale. Per non parlare degli immensi aiuti all’occupazione ricevuti dalle imprese di una certa dimensione, nelle quali un dipendente, una volta assunto, dovrebbe obbligatoriamente godere di un ombrello economico a vita, a prescindere dalle sue qualità e capacità produttive.

Ed il risultato tangibile di questa forma di sovietizzazione strisciante del lavoro è rappresentato da una massa impressionante di carrozzoni pubblici e/o finanziati in tutto o in parte dallo Stato, nei quali domina il lassismo e l’inefficienza. Nell’apoteosi del diritto al lavoro sinonimo di diritto ad uno stipendio a richiesta, la nostra democrazia basata sul deficit spending si è trasformata in una sorta di bancomat erogatore di vitalizi, ad uso e consumo dei vari amministratori di turno e delle loro folte platee elettorali. Solo che continuare a garantire ad alcuni questa forma di diritto al lavoro sta diventando per altri, il popolo pagatore dei produttori privati, un peso oramai insostenibile, oltre a rappresentare un elemento fortemente distorsivo all’interno del sistema economico nel suo complesso. Per tale motivo, non possiamo che apprezzare la coraggiosa rottura del suddetto sinistro tabù ideologico da parte di Elsa Fornero.

Aggiornato il 04 aprile 2017 alle ore 15:56