Bersani rottamerà i rottamatori

Pd nel caos. Bersani sembrava essere un politico malleabile, duttile, di passaggio. Invece è riuscito, con una lunga guerra di trincea, il segretario "di passaggio" è riuscito a disgregare le minoranze interne (veltroniani e cattolici) che agli albori della segreteria di Pier Luigi avevano avanzato richieste e pressioni per ottenere riconoscimenti e rappresentanze ovunque. Ora, invece, Bersani sta per arrivare alle (forse) primarie con in mano l'arma finale di annientamento del rottamatore fiorentino, Matteo Renzi. Che sarebbe schiacciato dalla preponderanza delle correnti che appoggiano, chi più chi meno, l'attuale segreteria.

Certo, le promesse di poltrone all'interno del futuro governo (auspicato ma per niente sicuro) di centrosinistra, hanno dato la possibilità a Bersani di porsi nella posizione di chi, al momento, potrebbe essere l'unico dirigente capace di fare l'ago della bilancia all'interno degli infiniti caminetti democratici. Magari scontentando temporaneamente qualcuno, ma sempre con l'impegno di dare a tutti un po' delle briciole che le prossime elezioni politiche produrranno.

Una partita interessante, con risvolti a livello nazionale, è sempre quella di Roma. Le elezioni a sindaco nella Capitale saranno un banco di prova onnicomprensivo di tutti gli equilibri tentati (e talvolta applicati) tra centrosinistra, cattolici e sinistra radicale.  Si parla delle imminenti dimissioni di Alemanno. Eventualità che porterebbe ad uno spariglio senza eguali, per una serie di motivi, politici e istituzionali. I motivi politici sarebbero la conseguenza ineluttabile della presentazione immediata di un candidato sindaco del centrosinistra, senza poter celebrare le tanto decantate primarie di coalizione. Amministrativo perché una gestione commissariale porterebbe con sé l'impossibilità di apportare innovazioni negli enti (comunale e provinciale nel caso in cui il candidato del Pd fosse Zingaretti - attuale presidente della Provincia che si dovrebbe dimettere per presentarsi).

Si fanno largo tanti nomi. Tutti più o meno già "spesi" sulle colonne dei giornali negli scorsi mesi. Fra cui ne tornano alla ribalta, nei salotti dela sinistra che sceglie, due in particolare, caldeggiati anche dal partito de "La Repubblica". Il primo è quello del ministro Andrea Riccardi (esempio classico di unione fra sinistra e cattolici); l'altro è Concita de Gregorio (ben voluta dall'ala veltroniana del Pd, dall'associazionismo e dai salotti radical della Capitale). Quello di Concita, anche se caldeggiato da più parti, sarebbe un nome da spendere nel momento in cui, come già detto in passato, il centrodestra dovesse optare per la candidatura "forte" di Giorgia Meloni. Ipotesi ancora piuttosto remota (ma sempre in caldo), che obbligherebbe il centrosinistra ad una scelta di genere e non politicamente ragionata. La scelta prediletta rimane, malgrado le tante voci e le innumerevoli pressioni (esterne ed interne al partito), quella di Nicola Zingaretti. Il suo nome, affiancato alla carica di primo cittadino di Roma, consentirebbe senz'altro la soddisfazione di una serie di equilibri, sia per la sinistra di Sel sia per la Federazione della Sinistra.

Aggiornato il 04 aprile 2017 alle ore 16:17