
In tema di costi della politica, un diffuso luogo comune porta a
ritenere che il vero problema da combattere siano gli stipendi e i
priviliegi dei politici eletti ai vari livelli di rappresentanza;
ma in realtà c'è un enorme sottobosco di posti al sole ed incarichi
retribuiti profumatamente che spesso sfugge all'attenzione
generale.
A tale proposito, mi ha colpito la notizia di una interpellanza
parlamentare del capogruppo dell'Idv alla Camera Massimo Donadi, il
quale ha messo sostanzialmente sotto accusa l'Isa -Istituto per lo
sviluppo agroalimentare - una Spa interamente controllata dal
ministero delle Politiche Agricole con lo scopo istituzionale di
erogare finanziamenti alle imprese del settore primario.
Questa misteriosa società pubblica, per la cronaca, fu creata
ex-novo nel 2005 dall'allora ministro Alemanno, non nuovo a simili
performance, il quale scorporò il settore agroalimentare dal
carrozzone di Sviluppo Italia, consentendo per l'appunto la nascita
dell'Isa. Ora, a quanto risulta dai dati forniti da Donadi e non
smentiti da nessuno, questa Spa ha erogato in tutta la sua storia
solo 26 finanziamenti - meno di 4 all'anno - .
Tuttavia, essa paga profumatamente il suo personale. Il direttore
generale prende la stratosferica cifra di 800.000 euro all'anno,
somma che supera ampiamente gli emolumenti assai contestati del
nostro capo della polizia. Oltre a questo compenso principesco,
l'Isa tiene a stipendio un amministratore delegato, 4 dirigenti e
36 impiegati, i quali hanno evidentemente espletato meno di una
pratica a testa in tutti questi anni, con un costo medio per
dipendente di ben 160.000 euro. Una vera e propria follia.
Una follia la quale, a mio avviso, deve essere analizzata su un
piano sistemico, evitando di pensare che essa costituisca solo la
scheggia impazzita di un apparato pubblico in gran parte sano.
Questo caso emblematico, invece, conferma l'impressione secondo cui
oramai ci troviamo in una situazione di così elevata degenerazione
del sistema pubblico a tutti i livelli, che solo attraverso misure
molto drastiche sarebbe possibile uscirne ancora in piedi.
E', infatti, tale la dimensione e la profondità dell'intervento
Statale in ogni settore - reso evidente da una spesa che raggiunge
il 54% del Pil - che appare quasi normale la presenza di un
altrettanto colossale fenomeno di sperpero istituzionalizzato.
Sembra quasi che, dato l'enorme e crescente fiume di danaro che
passa lungo i mille rivoli della spesa pubblica, vi sia una sorta
di rincorsa dei più paraculi ad attingervi a piene mani.
Tant'è che tornando all'Isa, il suo presidente - di cui si ignora
il compenso - è un uomo della Lega Nord, un commercialista di
Treviso tal Nicola Cecconato. Ebbene, sembra che quest'ultimo -
secondo un'inchiesta di "Report" - abbia collezionato nel corso
degli anni una dozzina di analoghi incarichi, fra consigli
d'amministrazione e collegi sindacali.
Un palmares da fare quasi concorrenza all'innarrivabile presidente
dell'Inps Mastropasqua, recordman nazionale con ben 24 investiture.
Ma questi sono solo esempi eclatanti, come già sottolineato, di un
cancro oramai in fase di metastasi. Ed il problema è sempre lo
stesso che la nostra piccola ma combattiva riserva indiana di
liberali incalliti denuncia da anni: un eccesso di spesa e di
competenze pubbliche.
Da questo punto di vista le chiacchiere e le frasi ad effetto,
tipo "spending review", non serviranno a nulla, oltre a spargere
prosciutto sugli occhi dei più sprovveduti, se non si intacca
radicalmente quel molok statale che è arrivato a gestire e spendere
850 miliardi di euro all'anno. Ma la bestia pubblica non la si
affama certamente sotto un governo la cui unica preoccupazione
sembra quella di lasciare gattopardescamente le cose come stanno
sul fronte delle uscite, utilizzando fino allo spasimo la leva
fiscale.
Spread o non spread, credo che se Monti & soci continueranno a
spremere il Paese reale per coprire le magagne di un sistema
politico che, tra le altre cose, ha creato la più "produttiva"
fabbrica di carrozzoni dell'Occidente, la corsa verso il baratro
del fallimento economico e strutturale dell'Italia non si
arresterà.
La ricetta dei "tecnici" basata su più tasse e più regole, semmai,
renderà ancor più prossima la caduta inevitabile.
Aggiornato il 04 aprile 2017 alle ore 15:34