Sfide incrociate

Ciò che sta avvenendo in merito al conflitto in Ucraina sembra capovolgere la celebre sentenza di Carl von Clausewitz secondo cui la guerra “non è che la continuazione della politica con altri mezzi” poiché ora, nonostante le armi siano ancora protagoniste, è il confronto diplomatico a proseguire “con altri mezzi” il confronto bellico. Altrettanto, la stessa dottrina della Blitzkrieg, in parte teorizzata dal generale tedesco Heinz Guderian durante la Seconda guerra mondiale, sembra venire superata o integrata da una sorta di Blitzfrieden, una pace lampo anticipata da Donald Trump durante la campagna elettorale e ora prospettata concretamente come possibilità davvero ravvicinata nel tempo. Ancora sul piano storico è poi del tutto fuori luogo cercare corrispondenze, come qualcuno ha fatto, fra il possibile esito pacifico della trattativa Trump-Putin e il Patto Molotov-Ribbentrop del 1939 poiché, allora, a trattare erano due dittatori come Adolf Hitler e Iosif Stalin mentre oggi a rivestire i panni di un despota è solo Vladimir Putin mentre Trump, fino a prova contraria, è il presidente della nazione più democratica al mondo. Del resto, si dimentica che la diplomazia non è fatta per dare valutazioni sui regimi politici ma per trattare e firmare accordi, magari turandosi il naso. Staremo a vedere.

Quel che è certo è che, ancora una volta, la cessazione delle ostilità è perseguita, in ambito americano, da un Governo repubblicano, probabilmente sulla scia della dottrina Kissinger. Tuttavia ciò non significa necessariamente che la pace sia sempre intrinsecamente giusta, cosa che vale anche per la guerra, ma solo che qualcuno, nel teatro internazionale, direttamente o indirettamente coinvolto nel conflitto, intuisce che ciò che conta è il dopo, cioè i mutamenti che l’assetto politico mondiale esibirebbe nel caso che vinca uno oppure l’altro dei contendenti. In effetti, come è stato sottolineato da molti osservatori, se quella che Putin ha denominato Operazione militare speciale andasse a buon fine per i russi l’alleanza di Mosca con Pechino ne uscirebbe intatta o persino rafforzata e ciò sarebbe molto preoccupante non solo per Washington ma per l’intero Occidente. Per evitare questo malaugurato esito l’Europa e gli Stati Uniti hanno scelto, non senza ragione, la via del sostegno concreto a Kiev nella speranza di contenere i russi e di portarli al tavolo delle trattative in una posizione, se non di sconfitti, quanto meno di belligeranti esausti. Dopo tre anni sostanzialmente inconcludenti, Trump propone e sta attuando l’altra via, quella diplomatica, tesa a sistemare in qualche modo i contrasti territoriali fra ucraini e russi aderendo in parte alle richieste di Putin.

Vista in questo modo, la cosa sembra però costituire una trappola per Mosca poiché il prezzo che essa dovrebbe pagare sarebbe una vigorosa ripresa dei rapporti ordinari con quello che è, a tutti gli effetti, l’avversario principale, su vari piani, di Pechino. Tutto, dunque, è nelle mani di Putin da un lato e di Xi Jinping dall’altro perché è proprio la loro relazione a essere in gioco. Quali suggerimenti e quali offerte farà la Cina a Putin non è dato sapere nell’immediato ma sicuramente Pechino, nonostante le sue reiterate e generiche affermazioni ufficiali volte ad auspicare la pace, non starà semplicemente a guardare lo sbilanciamento che potrebbe derivare dal progetto di Trump. Gran parte dei commentatori e della stessa politica si affanna a criticare, quando non a condannare, i modi comunicativi di Trump senza capire che la rapidità con cui il presidente americano sta lavorando è, prima di tutto, una sfida proprio a Putin il quale, a trattative avviate, dovrà decidere se qualche pezzo di Ucraina in più valga la perdita del supporto preponderante, se non esclusivo, cinese. Può darsi che, se non esausta, la Russia stia davvero soffrendo gravi difficoltà a seguito di una guerra che, nelle intenzioni, doveva essere lampo, e l’immediata accettazione, in via di principio, della proposta americana farebbe pensare che Mosca abbia bisogno di uscire al più presto da una situazione pesante e non prevista.

Tutto, insomma, fa pensare che il Governo americano, che, non si dimentichi, non agisce solo in base al pensiero di Trump, stia puntando su una soluzione vantaggiosa su vari piani: quello umano della cessazione delle ostilità, quello dell’assetto politico internazionale e, non da ultimo, quello economico. Inutile considerare, nell’incrocio politico che si sta evidenziando, l’evanescenza dell’Europa la quale, giustamente offesa dall’aggressione russa, ha mille motivi per insistere sul dovere di aiutare l’Ucraina. Ma, ormai, l’aiuto che possiamo darle va soppesato e realizzato guardando soprattutto al dopo. Un’opportunità che vale anche per l’Europa, verso la quale né Trump né il popolo americano covano segreti disegni di smembramento limitandosi a sottolineare che, sotto vari profili, messi come siamo costituiamo l’anello debole della catena occidentale da troppo tempo comodamente adagiati sotto la tutela statunitense. Mentre avremmo mille risorse per essere il riferimento centrale della politica internazionale.

Aggiornato il 24 febbraio 2025 alle ore 17:59