
Siamo tutti preda di ciò che accade giorno per giorno ma, ciò che conta, è ipotizzare l’origine verosimile degli eventi e intuire a cosa preludano per il giorno dopo. Va da sé che mi riferisco a ciò che è accaduto nel cosiddetto studio ovale della Casa Bianca nel confronto fra Donald Trump e Volodymyr Zelens’kyj. I commenti prevalenti si concentrano sull’inusuale apertura dell’evento alle telecamere e ai giornalisti, opportunamente pre-selezionati, oppure, più comprensibilmente, sulla durezza, nella forma e nella sostanza, delle critiche che presidente e vice presidente degli Usa hanno rivolto al presidente ucraino. Ma ciò a cosa sta preludendo? La stessa Unione europea si propone di correre ai ripari, peraltro con molta flemma, tentando di avviare una politica comune di difesa, auspicata da anni, ma dando per ora soprattutto l’impressione di essere colta da un micidiale disorientamento.
Ora, chi riuscisse a non farsi abbacinare dalla sceneggiatura preparata da Washington, dovrebbe facilmente comprendere che la sceneggiata puntava, in realtà, su un pubblico molto speciale, cioè Vladimir Putin. Il Cremlino, di fronte alla forte contestazione degli Usa, trasmessa in mondovisione, nei riguardi di Zelens’kyj, non poteva non riconoscere in Trump un effettivo potenziale alleato, almeno in merito alla questione ucraina. E, infatti, Mosca ha salutato con grande entusiasmo il comportamento della Casa Bianca. Ma si può anche pensare che Mosca stia cadendo in una raffinatissima trappola. Per rendersi conto della fondatezza di una simile ipotesi è sufficiente prendere atto di alcune premesse che credo realistiche.
1) Il Governo americano non si è certo convertito guardando alla Russia come a un modello di Stato moderno e liberale giudicando, invece, l’Ucraina come un pericoloso Stato totalitario;
2) L’atteggiamento degli Stati Uniti, e del popolo americano, nei confronti dell’Europa, al netto delle critiche e delle relative punizioni attraverso i nuovi dazi, è e resterà sostanzialmente positivo e immutato per ragioni che definirei naturali oltre che storiche ed economiche;
3) Il legame fra Mosca e Pechino preoccupa, non da oggi, tutto l’Occidente e in special modo gli Usa, perché minacciati nella loro leadership mondiale da una crescita economica e di influenza decisamente minacciosa del colosso asiatico.
In questo quadro, non c’è bisogno di ricorrere alla “teoria dei giochi” di John von Neumann per decifrare la strategia di Trump: divide et impera. Riuscire a strappare la Russia dall’abbraccio cinese significherebbe per gli Stati Uniti sperare di poter tornare great again, come Trump ha affermato prima e dopo aver vinto le elezioni. Ma, per ottenere questo risultato di rilevante valore strategico, Trump ha bisogno di credenziali da offrire a Mosca, ed ecco le radici della sceneggiata da un lato e delle dimostrazioni di insofferenza nei riguardi dell’Europa, tanto detestata da Putin, dall’altro. Due fatti che si coniugano perfettamente con la posizione russa.
Ma solo nell’immediato. È infatti evidente che quanto detto non è altro che una possibile descrizione dello status quo o, se si preferisce, del primo atto della commedia. Il secondo è per ora solo nella testa di Trump e del suo staff, ma una cosa credo si possa prevedere con certezza: l’incontro Usa-Russia che si sta preparando non sarà affatto una festa di gala per Putin, poiché anche Mosca dovrà offrire credenziali, solide e credibili ma cercando di non compromettere i rapporti con la Cina, cosa che, però, è per Trump la questione principale. Né sarà facile che, al pari di ciò che accadde alla fine della Seconda guerra mondiale, i due presidenti possano brindare alla sconfitta di un nemico brutale e pericoloso per poi stabilire le proprie aree di influenza. O, per meglio dire, se quest’ultimo obiettivo dovesse rientrare nelle intenzioni dei due interlocutori, Trump sa perfettamente che esso dovrebbe fare i conti da un lato con la Cina e, dall’altro, non tanto con l’Europa in quanto Stato perché non lo è, ma con il destino della Nato e – anche se questa sparisse – con una serie di Stati europei che Trump non potrà davvero trascurare sia dal punto di vista economico e militare sia da quello delle comuni radici culturali che stanno tanto a cuore, per mille ragioni, a tutti gli americani.
In definitiva, il gioco si sta svolgendo fra quattro partecipanti: gli Usa, la Russia, la Cina e i Paesi europei e, magari in modi rozzi, Trump sta giocando la partita pensando al proprio Paese, disposto a lasciare al suo destino l’Ucraina pur di rinsaldare una “grandezza” che, peraltro, fa da sempre comodo anche a tutti noi. Proprio in merito all’Ucraina aggredita da Putin, del resto, è esattamente l’Europa, nella quale tutti si stanno stracciando le vesti per lo scandaloso atteggiamento della Casa Bianca, che – come sostiene esplicitamente Washington – dovrebbe guardarsi allo specchio. E decidere se i “valori dell’Occidente democratico e del diritto internazionale”, tanto vanamente decantati per tre anni, debbano essere difesi non solo con l’invio di armi ma con azioni diplomatiche sostenute da azioni concrete, ben coordinate e tese a salvaguardare un popolo europeo assalito oggi, scongiurando l’eventualità di dovere difenderne altri domani.
Aggiornato il 03 marzo 2025 alle ore 12:13