Il percorso, con tratti isterici, delle strategie russe verso le ex repubbliche sovietiche, sta portando su scenari che, tra elezioni manipolate, aspettative di autonomia, e influenze sui governi, fanno vacillare la già difficile stabilità di molte aree ex sovietiche. Così Mosca, che cronicamente manifesta atteggiamenti “ossessivi” verso la Georgia, vorrebbe condurre completamente sotto il proprio mantello la piccola Repubblica autoproclamata dell’Abkhazia, o Abcasia, che ha dichiarato unilateralmente la propria indipendenza da Tblisi nel 1992. Da giorni questa regione separatista filo-russa della Georgia, è scossa da proteste che manifestano un forte dissenso circa un intesa siglata tra il Governo della Abkhazia e la Russia, che permetterebbe alle imprese di Mosca di penetrare con ingenti investimenti nell’area abkhaza.
L’accordo che ha creato la spaccatura politica e sociale è stato firmato a fine ottobre tra il ministro dell’Economia russo, Maxim Reshetnikov, e dal suo omologo abkhazo, Kristina Ozgan. Questo prevede che i russi possano acquistare appartamenti in Abkhazia, nelle numerose località turistiche sulla costa del Mar Nero. Tuttavia, in questo territorio separatista la vendita di immobili residenziali a stranieri è vietata dal 1995. Ma tale accordo potrà entrare in vigore solo se sarà ratificato dal Parlamento.
L’Abkhazia, situata a nord-ovest della Georgia tra il Mar Nero e le montagne del Caucaso, è sempre stata una destinazione appetita dal turismo russo. Mare e montagne che si incontrano, clima temperato e natura rigogliosa. La città di Gagra, drammaticamente nota per la strage di georgiani – pulizia etnica – durante la guerra civile abcaso-georgiana combattuta tra il 1991-1993, dove gli abkhazi furono appoggiati non ufficialmente dalla Russia, è considerata dai russi sin dal XIX secolo, al pari di una città turistica nord mediterranea. Chiaramente il turismo russo è un indotto economico fondamentale per questa regione autoproclamatasi autonoma, ma allo stesso tempo una minaccia in quanto a rischio di perdita di identità, anche politica.
In una situazione geopolitica dove gli obiettivi di Vladimir Putin scuotono le diplomazie non solo occidentali, il 15 novembre a Sukhumi, capitale abkhaza, centinaia di manifestanti hanno preso d’assalto il Parlamento e un edificio presidenziale attiguo, chiedendo le dimissioni del presidente filorusso Aslan Bzhania. La risposta della polizia è stata con i tradizionali sistemi di deterrenza, idranti e lacrimogeni, che nel complesso hanno causato una dozzina di feriti. In conseguenza a queste proteste il 17 novembre Temur Gulia, un influente capo politico della cosiddetta opposizione dell’Abkhazia, ha dichiarato all’agenzia di stampa russa Tass, che in caso di mancato adempimento delle richieste di dimissioni del presidente, il consiglio di coordinamento creerà un governo provvisorio.
Lo stesso giorno Aslan Bjania, eletto presidente nell’aprile 2020, ha dato la sua disponibilità a dimettersi al fine di organizzare elezioni anticipate, descrivendo le manifestazioni come un “tentativo di colpo di Stato”. Poche ore prima aveva dichiarato che avrebbe accettato di dimettersi a condizione che i manifestanti avessero abbandonato la piazza, ma i leader dell’opposizione hanno respinto la richiesta categoricamente, affermando che avrebbero accettato solo le sue dimissioni, senza condizionamenti. Bjania è accusato dall’opposizione, oltre che di dare troppo campo libero alle imprese russe, anche di fare arricchire la sua famiglia e pochi intimi. Diversi canali Telegram hanno riferito che Aslan Bjania aveva accettato di dimettersi, ma intanto è stato scortato da un’unità militare russa al suo Paese natale, Tamishi, distante circa 40 chilometri da Sukhumi.
Comunque le pressioni hanno fatto il suo effetto, in quanto martedì 19 in mattinata Aslan Bjania, probabilmente ancora a Tamishi, tramite una lettera indirizzata al presidente del Parlamento e condivisa dalla stampa di servizio, ha annunciato le sue dimissioni dalla carica di presidente della Repubblica di Abkhazia, al fine di mantenere la stabilità e l’ordine costituzionale. Ma come da sua richiesta le dimissioni sono state condizionate dallo sgombero dei manifestanti dagli edifici governativi. I capi dell’opposizione politica ed i manifestanti, contrari ad un accordo economico con Mosca, hanno per ora vinto la loro causa. Così, secondo l’agenzia di stampa russa Ria Novosti, i manifestanti hanno lasciato martedì mattina la piazza di fronte all’amministrazione presidenziale dell’Abkhazia. È subentrato al presidente dimissionario il vicepresidente abkhazo Badra Gunba che ricoprirà la carica di presidente ad interim prima delle prossime elezioni, che secondo l’agenzia statale russa Tass, che riporta quanto dichiarato dal presidente del Parlamento, saranno anticipate.
Tuttavia Sergej Viktorovič Lavrov, Ministero degli Esteri russo, ha espresso la sua preoccupazione per queste tensioni, e si è rammaricato che l’opposizione non abbia ritenuto possibile risolvere la questione con un percorso negoziale basato sulla legittimità dei poteri statali. L’esercito di Mosca nel 2008, dopo un breve conflitto, è entrato all’interno dei confini della Georgia, riconoscendo l’indipendenza di due regioni separatiste confinanti con il territorio russo: l’Abkhazia e l’Ossezia del Sud. Da allora la Russia ha mantenuto una presenza militare e influenzato le scelte politiche. Anche questo territorio rientra tra le maglie che lo Zar Putin sta tessendo forse per ricreare quello che potremmo definire una sorta di “Impero sovietico”.
Aggiornato il 20 novembre 2024 alle ore 10:20