Niger: la regolarizzazione del golpe

Alla luce degli indiscutibili fallimenti accumulati dalle varie operazioni internazionali nell’area sub-sahariana e nel Sahel, uniti alla vergognosa ritirata delle forze occidentali dall’Afghanistan, emergono le deficienze della metodologia applicata, negli ultimi venti anni, per estirpare le radici dei movimenti jihadisti in queste regioni.

Ciò che si manifesta è una sensazione di smarrimento, nell’amarezza di un pietoso ripetersi di fatti di fronte a una impasse strategica. Lo scenario che viene dal Niger è un déjà vu, dove si conclamano manifestazioni antifrancesi e l’evacuazione sbrigativa dei cittadini stranieri, quasi come dall’Afghanistan, ricordando le scene di Kabul di due anni esatti fa (agosto 2021), che hanno segnato una nuova débâcle dell’interventismo occidentale. Ovviamente, per ora la scossa che scuote il Sahel è meno violenta di quella sprigionata a valle delle montagne dell’Hindu Kush. Allora i jihadisti dello Stato islamico del Khorasan non conquistarono il potere.

Dopo gli ordinari e analoghi golpe celebrati in Mali nel 2020 e 2021, e in Burkina Faso nel 2022, il putsch del 26 luglio a Niamey ha sancito il forte risentimento verso la Francia e la grande passione verso la Russia. Pertanto, scorgiamo un nuovo crollo del muro del sistema militare estero-occidentale, Francia in testa, suggellato in Mali dalla fine dell’operazione Barkhane, e in Niger con la formalizzata dichiarazione – il 3 agosto – della giunta golpista, che ha sancito il disimpegno della cooperazione militare con Parigi.

Anche se c’è differenza tra i golpisti nigerini o saheliani in generale e i talebani, il risultato è simile: la fine di un ciclo. Ovvero il fallimento indiscusso della dottrina della contro-insurrezione spazzata via, unitamente alle teorie sulla stabilizzazione degli Stati considerati fragili dall’Occidente, insieme a ogni velleità legata al pensiero strategico globale. Una articolazione fra i due teatri – quello del Sahel centro-occidentale e quello dell’Afghanistan – con il comune denominatore dell’antiterrorismo, che vede esiti non troppo distanti, nel quadro di una metodologia comune, dove i jihadisti hanno prosperato, recependo i disagi di gruppi alienati e emarginati: i pashtun in un Afghanistan post 2001 dominato dal potente gruppo etnico dei tagiki, o come i fulani del Sahel di fronte ai tuareg.

E mentre si celebra la “commedia” che vede l’EcowasComunità economica degli Stati dell’Africa occidentale – minacciare di intervenire militarmente in Niger, quando quattro degli Stati membri più potenti dell’organizzazione sono guidati da governi golpisti, il Niger cala l’asso che quasi legittima il golpe. Non a caso, la giunta militare golpista il 7 agosto, dodici giorni dopo il colpo di Stato che ha deposto il presidente Mohamed Bazoum, ha nominato il suo nuovo capo del Governo: un civile, il cinquantottenne Lamine Zeine, economista. Il nuovo primo ministro è conosciuto dai nigerini e vanta una reputazione di tecnocrate capace e competente. Ha studiato presso la National School of Administration di Niamey, per poi laurearsi al Centre for Financial, Economic and Banking Studies di Marsiglia e Parigi-1.

La carriera burocratica è iniziata nel 1991 al Ministero dell’Economia e delle Finanze, con il Governo di transizione guidato da Amadou Cheiffou, dopo la conferenza nazionale per la pace civile che sancì il multipartitismo in Niger. Zeine ebbe poi l’incarico di capo gabinetto dal presidente Mamadou Tandja – militare golpista contro il presidente Diori Hamani – diventando in seguito magistrato supremo, nel 1999. Fu nominato nel 2003 ministro delle Finanze, restando in carica fino al rovesciamento di Mamadou Tandja, nel febbraio 2010. Il golpe un anno dopo portò alle elezioni, durante le quali Mahamadou Issoufou, il predecessore di Mohamed Bazoum, venne eletto presidente. Inoltre, Lamine Zeine è il primo di etnia Toubou ad assurgere a capo del Governo.

Ma il processo di legalizzazione del golpe non si ferma alla nomina di un civile al Governo del Niger. Infatti, l’ex segretario generale del Ministero della Difesa del Governo Bazoum, il generale Amadou Didilli, è stato nominato alla guida dell’Hacp, Alta autorità per il Consolidamento della pace: una istituzione pubblica nata nel 1995 che si occupa, prevalentemente, di controllare gli accordi di pace concordati con i gruppi ribelli Tuareg.

Inizia così la costruzione della piramide di Governo su base civile tracciata soprattutto dal generale golpista Abdourahmane Tchiani, dove saranno presenti ex componenti della giunta Bazoum, che metteranno a dura prova coloro, africani e occidentali, che vorranno mettere in discussione questo avvicendamento di potere nell’ordinario sceneggiato africano”.

Aggiornato il 11 agosto 2023 alle ore 09:49